L’agonia di «Pùblico», megafono delle idee della sinistra spagnola

MADRID La testata sotto supervisione giudiziaria
Dopo quattro anni e tre mesi di vita, il quotidiano progressista Pàºblico rischia di scomparire dalle edicole spagnole.

MADRID La testata sotto supervisione giudiziaria
Dopo quattro anni e tre mesi di vita, il quotidiano progressista Pàºblico rischia di scomparire dalle edicole spagnole.

L’editore della testata, il gruppo Mediapro (socio di maggioranza il catalano Jaume Roures), ha sollecitato al Tribunale fallimentare di Barcellona la dichiarazione di «concorso dei creditori», una sorta di supervisione giudiziaria che si attiva quando un’impresa non riesce più a tenere fede agli impegni di pagamento, ma vuole provare a continuare la propria attività. Non siamo ancora al fallimento, dunque: c’è la possibilità di guadagnare tempo per trovare nuovi finanziamenti e per accordarsi con i creditori – in primis i 160 lavoratori della testata, rimasti a dicembre senza stipendio.
Malgrado le legittime speranze di sopravvivenza, tuttavia, la situazione è molto grave, come ha riconosciuto il direttore Jesús Maraña in un articolo apparso lo scorso 3 gennaio nell’edizione online. Pur crescendo costantemente in termini di vendite nelle edicole e di utenti sul web, Público paga la generale «crisi economica e le sue conseguenze nell’ambito della comunicazione»: dalla sua nascita nell’autunno 2007, «gli introiti pubblicitari nella stampa spagnola sono diminuiti del 50%».
L’aumento del prezzo del quotidiano e un ridimensionamento dell’organico avvenuto lo scorso settembre sono serviti soltanto a tamponare la ferita, ma non a risolvere il problema di fondo che accomuna centinaia di imprese nella Spagna della crisi, strozzate dalle enormi difficoltà di accesso al credito. Maraña riconosce onestamente che se il giornale «stesse vendendo il doppio delle copie non sarebbe sul bordo della chiusura», ma ciò non toglie nulla al fatto che Público vanti comunque ottimi risultati, essendosi imposto, con 87 mila copie vendute, come quarta testata del panorama informativo spagnolo, dietro le corazzate El País ed El Mundo e lo storico filo-monarchico Abc. Ma oltre ai favorevoli riscontri numerici, quel che più conta è l’indiscutibile contributo all’arricchimento del pluralismo e all’innovazione del linguaggio giornalistico, in uno scenario altrimenti piuttosto povero. O, per meglio dire, assai omologato a destra.
Se si fa eccezione per El País, di orientamento liberal come la nostra Repubblica, il resto dei giornali spagnoli di diffusione nazionale copre infatti tutte le possibili sfumature del conservatorismo, da quello «più aggiornato» e laico (El Mundo) alla fortezza del tradizionalismo ultra-cattolico (La Gaceta), tutti rigorosamente allineati nel sostegno al Partido popular del neopresidente Mariano Rajoy. Público rappresenta una felice eccezione, compiendo con successo la missione di essere «non la voce dei cittadini di sinistra, perché nessuno pretende di parlare per loro, ma il megafono delle loro idee», come affermava ieri nella sua rubrica quotidiana lo scrittore Isaac Rosa. Con la massima apertura e spirito critico nei confronti di tutte le sinistre, dai socialisti fino all’anticapitalismo radicale, e con grande vicinanza ai movimenti, da quello per il recupero della memoria storica antifranchista agli indignados.
Molte firme dell’intellettualità critica, spagnola e non solo, come gli economisti Viçenc Navarro e Miren Etxezarreta o Noam Chomsky, trovano spazio nelle pagine di opinione: difficilmente avrebbero accesso alle colonne de El País, senz’altro autorevole e di qualità, ma molto attento a non varcare mai troppo alcune soglie ideologiche del «buon senso progressista». Altrettanto può dirsi per lo sguardo sulla politica estera, in particolare latinoamericana, per l’attenzione verso l’ecologia e i problemi ambientali o per il modo di trattare alcuni poteri forti, economici o istituzionali (come la monarchia): sulle pagine di El País si urtano il meno possibile «le sensibilità» che contano davvero, soprattutto se in affari con il grande gruppo editoriale Prisa, proprietario del giornale.
L’ultimo esempio del ruolo insostituibile di Público lo si è avuto con lo scandalo di corruzione che ha recentemente investito la casa reale spagnola, ed in particolare Iñaki Urdangarín, marito della seconda figlia del re Juan Carlos, l’Infanta Cristina. Proprio la testata che ora rischia la chiusura ha rotto per prima quella regola non scritta che impediva di esercitare la legittima funzione di critica e di indagine nei confronti dei Borboni, una famiglia non esemplare per trasparenza. Il genero del Re è ora sotto processo per malversazione di fondi pubblici e non è così improbabile che presto assisteremo alla prima condanna penale di un membro della famiglia più potente di Spagna. Fatta salva la presunzione d’innocenza che vale per tutti, bisogna augurarsi che Público possa esserci ancora per raccontarlo ai suoi lettori.

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FRANCIA «Rue89», il sito di informazione acquisito da Nouvel Obs.

  Fondato nel 2007 da Pierre Haski, già vicedirettore del quotidiano «Libération» insieme ad altri due colleghi della testata parigina, «Rue89» è stato il pioniere dei giornali su Internet completamente gratuiti. Un’avventura coraggiosa e indipendente che ha portato a fidelizzare 2 milioni di lettori unici al mese, gareggiando testa a testa con i colossi della carta stampata come «Le Monde» e «Le Figaro», ma che ora è destinata a cambiare di segno per assicurarsi la sopravvivenza rinunciando all’indipendenza, almeno finanziaria. Nonostante un fatturato di 2 milioni di euro nel 2011 grazie alla pubblicità (60% delle revenue) ma anche vendendo altri servizi come l’assistenza alla progettazione dei siti web (40% delle revenue), il quotidiano online non è riuscito a raddrizzare gli utili, il mercato pubblicitario per le realtà piccole e indipendenti è spietato e senza soldi per investire in innovazione digitale «Rue 89» non è riuscito ad andare più lontano di così. Così l’offerta di 7,5 milioni di euro che Claude Perdriel, fondatore e proprietario del gruppo del «Nouvel Observateur», il settimanale parigino progressista, ha formalizzato a fine dicembre per acquisire il sito di informazione e diventarne al cento per cento proprietario, era irrifiutabile. «Conserveremo una totale autonomia editoriale», assicura Haski (presidente di «Rue89») con Laurent Mauriac (amministratore delegato) e Pascal Riché (caporedattore), ma un sogno si è interrotto.

 

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