Una feroce ragazza dal look antisociale

Per contrastare gli oracoli che annunciano la fine del mondo, va rispolverata l’etimologia della parola «catastrofe»: un rovesciamento dai fermenti positivi

Katniss Everdeen ha solo diciassette anni, ma nel «catastrofico» 2012 è senza dubbio l’eroina che conquisterà  l’immaginario. Prenderà  corpo ed entrerà  nei nostri incubi con il primo film tratto dalla trilogia scritta da Suzanne Collins

Per contrastare gli oracoli che annunciano la fine del mondo, va rispolverata l’etimologia della parola «catastrofe»: un rovesciamento dai fermenti positivi

Katniss Everdeen ha solo diciassette anni, ma nel «catastrofico» 2012 è senza dubbio l’eroina che conquisterà  l’immaginario. Prenderà  corpo ed entrerà  nei nostri incubi con il primo film tratto dalla trilogia scritta da Suzanne Collins

NEW YORK. Sa cacciare, ideare complicate strategie di guerra, sopravvivere in condizioni estreme, uccidere un nemico a sangue freddo, difendersi da mostri reali e da quelli virtuali artificialmente iniettati nella sua psiche, resistere alla tortura, amare due uomini allo stesso tempo, conquistare il fervore di una folla, l’odio mortale di un tiranno e i ratings televisivi di un intero pianeta….È capace di odio e compassione, ma non di seguire passivamente un ordine. È una creatura totalmente antisociale eppure il perfetto leader rivoluzionario.
Katniss Everdeen ha solo diciassette anni, ma – nel «catastrofico» 2012 – è l’eroina su cui mi sentirei di puntare. È anche, come ha scritto Meghan Lewit sulla rivista americana Atlantic, «il personaggio femminile più importante nella storia recente della cultura popolare».
Uscito nel 2008 The Hunger Games (seguito dagli altri due libri della trilogia, Catching Fire e Mocking Jay, nel 2009 e nel 2010) è un fenomeno culturale che in Usa ha da tempo fatto esplodere i confini del mercato young adult per cui era stato concepito dalla scrittrice Suzanne Collins – quarantottenne signora del Connecticut che ha iniziato scrivendo programmi tv per bambini dai titoli innocui come Wow! Wow! Wubbzy! e coltivato un’invisibilità che, pur meno estrema, ricorda quella dei grandi reclusi della letteratura americana – Salinger, Pynchon, Harper Lee, Charles Portis….Ci sono le visioni dell’orwelliano 1984, di A Brave New World di Huxley e qualcosa di Lord of the Flies nella creazione di Collins, ma anche Buffy l’ammazzavampiri, Rambo, Pippi Calzelunghe, Nancy Drew e Lisbeth Salander.
L’affinità letteraria più realistica è probabilmente quella con il romanzo scandalo giapponese di Koushun Takami (e il bellissimo film che ne ha tratto Kinji Fukasaku) Battle Royale, in cui un gruppo di studenti, confinati su un’isola, sono costretti a un gioco di morte che li impegna uno contro l’altro. Ma, alla premessa minimale, crudissima, del libro di Koushum Takami (che Collins dice di non aver mai letto), gli Hunger Games aggiungono una grande storia d’amore a tre, una visione distopica più ambiziosa, una feroce condanna della televisione realtà, uniti a un gusto multicromatico per la descrizione di paesaggi e creature immaginari, alla presenza di costumi fantastici, personaggi «favolosi» e a un know how dei dettagli della guerra e del combattimento che (se mai si potesse convincere a leggere un libro «per ragazzine») incontrebbe l’approvazione di John Milius.
Lo sfondo è un classico da narrativa post-apocalittica: una Capitale sfarzosa, corrotta e decadente controlla i dodici, quasi tuti poverissimi, distretti di Panem (ciò che rimane del Nordamerica). Ogni anno, per ricordare il bagno di sangue con cui hanno soffocato la rivoluzione, i tiranni della capitale indicono violentissimi giochi di morte cui sono obbligati a partecipare un ragazzo e una ragazza estratti a sorte da ogni distretto. Trasmessi non stop dalla tv di stato (che può complicare la battaglia con simpatici mutanti come i jabberjays – uccelli che simulano le urla di una persona amata sotto tortura – o le tracker jackers, vespe velenose che possono alterarti l’identità modificando la tua memoria), i giochi ammettono un solo sopravvissuto. Quando la sorellina di pochi anni viene selezionata per partecipare, Katniss Everdeen, ribelle cacciatrice del distretto minerario numero 12, decide di prendere il suo posto. Resa magnifica per le sfilate di presentazione del torneo, il suo copro abusato da una varietà di tormenti che farebbero invidia a Mel Gibson, ricucita e rimessa a nuovo più volte come Frankenstein, volente, nolente e persino in preda all’amnesia, per i successivi tre libri Katniss è il nemico pubblico numero uno.
Con oltre sei milioni di libri venduti tra Stati Uniti e Canada, tradotta in ventisei lingue e diffusa in trentotto paesi, la trilogia non ha fatto colpo in Italia, dove i primi due volumi sono stati pubblicati da Mondadori, ma in gran parte del resto del mondo è un culto quasi paragonabile a quello di Twilight e di Harry Potter. A marzo, quel culto sarà rafforzato con l’uscita del primo film delle serie intorno al cui casting, l’anno scorso, si era generata una tempesta da Internet. Scritto da Suzanne Collins e diretto da Gary Ross (ma dietro alla macchina della seconda unità, e quindi delle sequenze d’azione, ci sarebbe l’abilissimo Steven Soderbergh), The Hunger Games sarà interpretato da Jennifer Lawrence nel ruolo di Katniss, da Liam Hemsworth e da Josh Hutcherson in quelli dei suoi amori Gale e Peta. Donalds Sutherland sarà l’orribile presidente Snow, Woody Harrelson l’ex guerriero Haymitch, Lenny Kravitz lo stilista Cinna e Elizabeth Banks l’ineffabile «hostess» con i capelli blu Effie Trinket. Danny Elfman e T Bone Burnett alle musiche.

 

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