Una genealogia senza conflitto

PRECARIETà€ Indipendenti, materiali, immateriali. Le convenzioni senza performatività 
Una condivisibile e irriverente critica all’ideologia neoliberale dell’individuo proprietario

PRECARIETà€ Indipendenti, materiali, immateriali. Le convenzioni senza performatività 
Una condivisibile e irriverente critica all’ideologia neoliberale dell’individuo proprietario
Un libro atipico, questo Furia dei cervelli, scritto da Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri, firme che i lettori de il manifesto conoscono per i loro articoli dedicati ai movimenti sociali, alla filosofia del diritto, all’opera di Michel Foucault. Presenta pagine in cui vengono rilelaborate le tesi sul cinismo e l’opportunismo sviluppate da Foucault che si leggono con grande piacere. Altri capitoli, invece, dedicati alla genealogia del concetto del Quinto stato hanno il sapore amaro di una lettura lineare dello sviluppo storico, quasi che la battaglia contro l’indipendenza condotta dal potere costituito sia oggi uguale a quella intraprese all’alba della modernità. Il pregio del libro sta però in un altro aspetto, che gli autori dichiarano subito: la critica corrosiva alla guerra dichiarata dal potere costituito contro l’intelligenza collettiva.
Testo dunque «militante», che si scaglia contro l’ideologia neoliberale e una certa cultura «lavorista» della sinistra politica. È un saggio, infatti, che cerca di destrutturare l’ideologia dell’individuo proprietario, figura posta al centro di un regime di accumulazione capitalista che ha saputo miscelare precarietà, lavoro autonomo, messa in produzione di sapere e conoscenza e centralità della finanza. L’esito di questa nuova «grande trasformazione» è, sostengono gli autori, il «quinto stato», cioè un lavoro vivo che ha il cervello sia come materia prima che come strumento di lavoro la conoscenza, la manipolazione di codici culturali, linguistici, assieme alla capacità di sviluppare cooperazione produttiva. Non è un caso che le poche semplificazioni usate per indicare il quinto stato elencano come figure esemplificative i ricercatori precari dell’università, i consulenti organizzativi, i pubblicitari, i lavoratori dell’industria culturale.
Inoltre il Quinto Stato è composto da uomini e donne «indipendenti», che non sono cioè stabilmente inseriti in una organizzazione produttiva – la fabbrica o l’impresa -, perché la loro è una forma di lavoro nomade, disancorata dalla continuità temporale che ha caratterizzato il lavoro dipendente nel secondo dopoguerra. I quintari sono come i flâneur descritti magistralmente da Walter Benjamin. Ma a differenza dalla Parigi di Benjamin non sono indolenti. I quintari attraversano infatti la metropoli con affanno, sempre inseguendo la ricerca di un nuovo contratto. Sono cioè free-lance, lavoro vivo intermittente che esce e entra dal mercato del lavoro a seconda del contratto che riesce ad avere. Sono mercenari gelosi della loro indipendenza.
Recentemente Richard Sennett ha sostenuto che il capitalismo flessibile ha reso attuale la figura dell’artigiano, figura del lavoro considerata marginale dopo la rivoluzione industriale. Da qui, l’attualità, secondo il sociologo statunitense, della contrapposizione tra lavoro concreto e lavoro astratto per la critica del capitalismo. Una tesi in evidente rotta di collisione con i novelli free-lance descritti in questo saggio, i quali coltivano con altrettanta cura non il prodotto del loro lavoro, bensì le relazioni sociali costruite nel loro nomadismo metropolitano. Tendono cioè a difendere la loro particolare forma di vita. Per questo non gradiscono la prospettiva di un lavoro a tempo indeterminato.
Indipendenza, non autonomia, visto che il secondo termine prefigura non uno spazio da preservare, bensì la costituzione di un altro mondo. Il quinto Stato accetta il lavoro che gli è dato da svolgere; e lo sviluppa anche con maestria, ma come una corvée da adempiere per poi tornare ad occuparsi di cose più importanti. Il free-lance è infatti agli antipodi dell’artigiano di Sennett. Da una parte c’è l’orgoglio del lavoro ben fatto; dall’altra la convinzione che lavoro è solo sinonimo di reddito. Con irriverenza viene infatti evocato il molatore di lenti Baruch Spinoza, che svolgeva diligentemente il suo compito, ma quello che lo interessava erano le relazioni sociali costruite con altri simili. Il lavoro attiene sempre al regno della necessità, perché la vita è altrove. Il free-lance fa cioè politica delle relazioni, sviluppando così uno stile di vita che nega qualsiasi solido principio di appartenenza. È cioè un senza patria che non rinuncia al proprio ethos, cioè quell’amore per la vita che si vuol mettere al riparo dalle tecnologie del controllo, a partire da quelle attinenti il processo produttivo. Le strategie dei free-lance sono di sottrazione, non di conflitto.
La rappresentazione dei free-lance è tagliente e nulla concede alle retoriche che hanno accompagnato il capitalismo cognitivo, a partire da quella che postula l’esistenza di un individuo proprietario. In queste pagine, infatti, non c’è nessun imprenditore di se stesso, ma solo uomini e donne fieri della propria forma di vita altera rispetto a quella codificata dal potere costituito. Da qui la rivendicazione di diritti sociali da cui i free-lance sono esclusi, perché il quinto stato non è nulla, ma vuole essere tutto. Non si capisce bene però quale sia l’ostacolo alla valorizzazione dell’indipendenza.
Le imprese, la legislazione del lavoro, una politica fiscale che penalizza gli «indipendenti»? Certo, ma perché allora mettere questi elementi in tensione polemica con le tutele per i «tempo indeterminato»? Le caratteristiche dei free-lance non sono infatti solo una loro prerogativa. Flessibile, nomade, capace di produrre e fare leva sulle relazioni sociali è il lavoro vivo sans phrase. Diverse sono le mansioni che caratterizzano il lavoratore della conoscenza rispetto a quelle del contemporaneo lavoro operaio, ma eguale è la loro partecipazione al processo di valorizzazione capitalistica. Il nodo che va sciolto è dunque quello del lavoro salariato.
In un celebre libro, lo studioso francese Yann-Moulier Boutang ha scritto pagine memorabili sul passaggio dal lavoro servile a quello salariato, ritenuto non un incidente di percorso, bensì la regola che ancora plasma i meccanismi dello sfruttamento, compresi quelli attinenti al cosiddetto lavoro indipendente. È questa il nodo teorico rimosso dai due autori: rimozione che li porta a mettere tra parentesi le politiche sociali del workfare, attraverso la quale viene imposto a uomini e donne di fare proprio quel prisma che vede affastellarsi e avvicendarsi nella vita dei singoli tutte le forme del lavoro che la modernità ha conosciuto. E risultano così convenzioni senza prmai potere performativo le distinzioni tra lavoro materiale e immateriale, tra lavoro dipendente e parasubordinato. Da questo punto di vista, l’unica convenzione che mantiene un potere evocativo della condizione sociale del lavoro vivo è: precarietà, il vero bandolo per sbrogliare la matassa del lavoro vivo contemporaneo. Non si tratta quindi di ripristinare un’etica del lavoro, ma neppure di limitarsi a enunciare le sue prismatiche facce per poi scegliere quella «centrale» nel conflitto tra capitale-lavoro vivo. La posta in gioco è infatti rintracciare la dimensione comune a tutte le figure del lavoro vivo. E la precarietà è proprio la necessaria convenzione per indicare sia i meccanismi di sfruttamento, ma anche una forma di vita che può manifesta continuamente la sua potenza produttiva e la sua autonomia dal regime di accumulazione, aprendosi così alla costruzione di un altro mondo.
In fondo, il ridisegno dei diritti sociali messo in atto dalle politiche di workfare tende a mettere sotto controllo la potenza produttiva del lavoro vivo, negando la sua autonomia. Dire questo, significa però indicare un programma di ricerca sociale, teorica e dunque politica, che come una talpa può scavare percorsi di liberazione. Altrimenti La furia dei cervelli rischia di diventare un urlo nel deserto. In attesa della prossima grande trasformazione.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password