Saverio Tutino è morto ieri a Roma. 88 anni, giornalista, scrittore e «archivista». Fu come corrispondente dell’Unità all’Avana nei ’60 che fece conoscere in Italia la rivoluzione e alimentò il mito di Cuba e di Fidel
Saverio Tutino è morto ieri a Roma. 88 anni, giornalista, scrittore e «archivista». Fu come corrispondente dell’Unità all’Avana nei ’60 che fece conoscere in Italia la rivoluzione e alimentò il mito di Cuba e di Fidel
Lo ricordo ancora pochi anni fa nella sua casa di Anghiari canticchiando l’inno nazionale cinese che aveva imparato da inviato dell’Unità a Pechino nel primo anniversario della Rivoluzione maoista: «Seduto in tribuna – raccontava -, due file sotto il timoniere Mao Tse Tung», che lui pronunciava ancora seconda la vecchia dizione.
Saverio Tutino, giornalista, scrittore, inventore dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano è morto ieri a Roma dopo 88 anni vissuti intensamente. Era nato a Milano il 7 luglio 1923 dove, studente di giurisprudenza, lo colse l’8 settembre e la chiamata alle armi dei repubblichini. Riparò allora in un campo di rifugiati del Canton Ticino dove legò con gli ambienti anti-fascisti e si iscrisse al Pci; fino a rientrare in Val d’Aosta come partigiano (nome di battaglia Nerio) divenendo capitano e commissario politico della settantaseiesima Brigata Garibaldi prima e della settima Divisione Garibaldi «Aosta» poi (sul periodo da partigiano scriverà nel 1975 «La Ragazza scalza. Racconti della Resistenza»).
Dopo la liberazione entrò nella redazione de Il Politecnico di Vittorini, e, successivamente, al settimanale comunista Vie Nuove. Fino a passare all’Unità, per la quale fu inviato in Cina e corrispondente a Parigi (mentre era in corso la guerra di liberazione in Algeria).
Ma è la sua lunga permanenza a L’Avana, a raccontare della rivoluzione cubana in tempo reale, che caratterizza la vicenda giornalistico-politica di Saverio Tutino (fu lui, in qualche misura, a creare il mito di Cuba e di Fidel, ciò di cui poi anni dopo si dipiacque) e che lo fa entrare in certo contrasto, dalla metà degli anni sessanta, con il suo giornale e con il partito (in particolare con Giancarlo Pajetta) per il suo convincimento della fertile nascita di un terzo schieramento sulla scena internazionale, quello dei «non allineati» del sud del mondo, quasi a sfidare la rigida logica della guerra fredda tra le due super-potenze.
I suoi testi «La Rivoluzione cubana» (1966) e soprattutto «L’Ottobre cubano» (1968) e «Gli anni di Cuba» (1973) furono fra i primi a «spiegare» in Italia quell’evento che tante passioni suscitò in quegli anni turbolenti e, per quanto inevitabilmente datati (d’altronde è il loro merito), furono e restano testimonianza e fonte autorevole per la comprensione della storia del castrismo. Così come preziosi per capire la figura di Ernesto Guevara sono: «Il Che in Bolivia» e «Guevara al tempo di Guevara» (1996).
Nel 1975 Tutino è nel gruppo fondatore di la Repubblica per la quale lavorerà (occupandosi soprattutto di America latina) per un decennio. Anche qui come a l’Unità il rapporto si fa conflittuale. Tutino ha una forte personalità e difende angolature e ragionamenti che mettono in discussione visioni secondo lui ancora troppo convenzionali; nella costante ricerca intellettuale di trame e connessioni (a costo di essere accusato di «dietrologia») che spiegassero gli eventi che si consumavano via via nel mondo e in Italia (compresa la stagione della lotta armata delle Br). Ma spesso aveva ragione o comunque ti aveva insinuato un fondato dubbio.
Anche su Cuba rivede e denuncia sempre più polemicamente l’obsolescenza del lider maximo Fidel Castro. Perché in realtà, come racconta in «Cicloneros» (1994) e nella sua autobiografia, «L’occhio del barracuda» (1995), neanche nei suoi ultimi anni a Cuba fu particolarmente amato; sempre per l’impertinenza di voler raccontare tutto quello che vedeva; ed esprimere liberamente ciò che pensava.
Per tutta la sua vita Saverio Tutino ha tenuto un diario, da cui ha tratto poi lo spunto per i suoi saggi e racconti successivi: dove ha riportato fatti ed eventi del tempo reale; per poi rivisitare osservazioni e sensazioni di quel vissuto alla luce degli eventi successivi e di riflessioni a posteriori.
Ed è proprio l’invenzione di «raccogliere diari di persone» la sua opera maestra, che segna la terza parte della vita di un Tutino via via sempre più dolce, quanto fulminante ed essenziale nelle intuizioni. Con quell’impellente necessità di voler preservare e mettere a disposizione di tutti le testimonianze di vite vissute da gente comune altrimenti perdute; e che hanno fatto e fanno la storia non «ufficiale».
Saverio ha fondato così nel 1984 a Pieve Santo Stefano, nella Valtiberina toscana, l’Archivio diaristico nazionale che raccoglie ormai quasi diecimila diari di persone; e che ogni anno (la seconda domenica di settembre) promuove il (non) Premio Pieve. Archivio diaristico che Tutino ha dotato da tempo anche di una rivista che non poteva che chiamarsi Primapersona
Mentre nel vicino borgo medioevale di Anghiari, dove era solito passare le estati insieme alla sua compagna Gloria Argeles, affermata scultrice argentina, Saverio ha fondato nel 1998, con il professor Duccio Demetrio, la «Libera università dell’autobiografia», realizzando il sogno di fare della amata valle del Tevere una vera e propria «valle della memoria».
E sarà proprio a Anghiari, che lo ha fatto suo cittadino onorario, dove Sverop Tutino sarà sepolto.
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