Un referendum abrogativo per «liberarsi dell’art. 8»

VALLE OCCUPATO No alla libertà  di licenziamento

VALLE OCCUPATO No alla libertà  di licenziamento Un teatro di fine ‘800 – il Valle occupato – accoglie i figli di un ‘900 eccezionale al punto di diventare Costituzione, sia formale che materiale. E che percepiscono anche scientificamente lo smottamento in atto al di sotto degli assetti (sociali, politici, legislativi) fin qui pensati come «la normalità».
Si discute non il «se» ma il «come» promuovere un referendum per l’abolizione dell’art. 8 dell’ultima manovra finanziaria varata dal governo Berlusconi, fortemente voluto dalla Fiat e perciò scritto da Maurizio Sacconi in modo da aderire a quelle esigenze. E’ un tema su cui c’è «silenzio» ricorda, Luigi Romagnoli, decano dei giuslavoristi italiani. La lettura «benevola» di questo silenzio potrebbe indicare l’«imbarazzo» di molti addetti ai lavori per una norma che non sarebbe perdonata a una matricola in un tema di diritto: il prevalere dell’«accordo tra le parti» rispetto alla legge. La lettura «realista», quindi malevola, è che quella norma resta lì come un’«arma di distruzione di massa», utilizzabile da chiunque voglia farlo, senza resistenze particolari. Da Fiat, intanto, da molti altri in seguito.
Un mostro giuridico che però «non è un masso erratico», un accidente arrivato dal nulla. Ma «il punto di arrivo di tendenze di lungo periodo», perfettamente «coerente con le politiche del lavoro degli ultimi 15-20 anni, ma incompatibile con la Costituzione». Che sotto certi accordi ci sia stata la firma di sindacati confederali è un’aggravante, non una «esimente». Il «baco» giuridico era già nella «concezione bipolare» del sindacato in auge al tempo dell’assemblea costituente; ovvero l’idea che l’azione sindacale produce effetti non solo per gli iscritti, ma per tutti i lavoratori. idea che ha come corollario «deleterio» – a lungo sottovalutato – la possibilità di concepire il sindacato come «una delle tante lobby che si aggirano nei pressi delle decisioni istituzionali». Bonanni e Angeletti vengono più volte citati come esempio concreto di questa mutazione.
È questa sponda che ha consentito a Sacconi di immaginare sic et simpliciter l’abolizione integrale del diritto del lavoro, concentrata appunto in quell’art. 8 che consente deroghe in peggio a qualsiasi accordo e – «atto eversivo, se compiuto da posizione di comando» – di qualsiasi legge. Il «metodo» lì suggerito è un capolavoro truffaldino: la «contrattazione collettiva di prossimità». Ovvero territoriale o «addirittura rionale», in teoria. In pratica, solo aziendale.
Come ci si libera del mostro?
L’idea del referendum è un appello alla «mobilitazione dal basso», che sappia fare del lavoro« il più comune dei valori e dei beni». Perché «dall’alto» della politica parlamentare – è una considerazione che ritorna spesso – non ci si può aspettare quasi nulla. Viviamo infatti in un paradosso politico allucinante: «c’è al momento un consenso bulgaro per un governo che deve fare l’esatto opposto di quello che una maggioranza altrettanto bulgara ha deciso con i referendum dello scorso giugno».
E’ Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, a porre il problema in modo radicale: «nella ristrutturazione della democrazia in atto non c’è più spazio nemmeno per il bipolarismo, ma per un’unica politica, neoliberista e arbitraria». Quindi soltanto «un aggregato sociale che metta al centro la questione del lavoro come tema unico» ha la possibilità di innescare la dinamica vincente che si è prodotta sull’acqua pubblica.
Ma è un’iniziativa da prendere subito, avverte Gianni Ferrara, perché «nell’anno solare che precede le elezioni non è possibile presentare quesiti referendari». E anche se è vero che i referendum in materia sindacale hanno una storia di insuccessi dolorosi, non c’è attualmente nessun altra modalità di mobilitazione collettiva che possa garantire risultati simili: ovvero esplicitare il dissenso in modo alto, ragionato, consapevole e allo stesso tempo «di massa». Perché l’offensiva in corso – «il governo sarà anche diverso, ma il Parlamento è lo stesso» – non permette di sognare il semplice ritorno alla situazione precedente. Va ricostruito tutto, sia il movimento pratico del lavoratori, che la sua cultura conflittuale. E il tempo stringe.

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