CHI HA DECISO CHE IL BARTLEBY DEVE MORIRE

A Bologna c’è un collettivo di studenti, ricercatori, giovani lavoratori precari, che si chiama “Bartleby” (da un celebre racconto di Herman Melville) e da due anni organizza iniziative culturali nei locali assegnatigli dall’Università  di Bologna, in via San Petronio Vecchio. Da qualche tempo l’assegnazione è scaduta e l’ateneo ha deciso di non rinnovarla, poiché pare che in quegli stessi locali dovranno essere eseguiti lavori strutturali per ampliare gli spazi della Facoltà  di Scienze Politiche. L’ateneo non intende offrire alternative al collettivo Bartleby: probabilmente non ritiene interessante né utile l’attività  che svolge.

A Bologna c’è un collettivo di studenti, ricercatori, giovani lavoratori precari, che si chiama “Bartleby” (da un celebre racconto di Herman Melville) e da due anni organizza iniziative culturali nei locali assegnatigli dall’Università  di Bologna, in via San Petronio Vecchio. Da qualche tempo l’assegnazione è scaduta e l’ateneo ha deciso di non rinnovarla, poiché pare che in quegli stessi locali dovranno essere eseguiti lavori strutturali per ampliare gli spazi della Facoltà  di Scienze Politiche. L’ateneo non intende offrire alternative al collettivo Bartleby: probabilmente non ritiene interessante né utile l’attività  che svolge.
Ecco la prima stranezza. Per quei due stanzoni di via San Petronio Vecchio (più un cortiletto) in questi mesi sono transitati musicisti, scrittori, artisti, docenti universitari, attivisti politici; quasi senza soluzione di continuità si sono tenute presentazioni di libri, reading di poesie, videoproiezioni, mostre di fumetti, dibattiti sull’attualità e sul mondo. Tutto questo senza finanziamenti, cioè a costo zero per la collettività.Si tratta di un’esperienza che ha dimostrato una vitalità e una capacità di aggregazione di gran lunga eccedenti i locali messi a disposizione dall’università. Tuttavia pare che l’università preferisca sbarazzarsi di questi giovinastri rompiscatole, della loro creatività, del loro impegno, dell’attività di promozione culturale che svolgono. Quella che in altre università europee sarebbe una realtà segnalata nelle guide d’ateneo, a Bologna è considerata alla stregua di una scomoda zavorra di cui disfarsi.
Perché? Forse perché si tratta di un soggetto che è anche conflittuale? Perché Bartleby è una delle realtà cittadine impegnate a contestare i tagli alla cultura imposti dal precedente governo – intercettando sia gli studenti sia i lavoratori del settore – nonché le attuali ricette economiche imposte dall’Ue? Forse perché questi studenti criticano le politiche accademiche? Viene da chiedersi cos’altro dovrebbe fare uno studente oggi e se davvero qualcuno pensa che possano starsene zitti e piegati sui libri.
La seconda stranezza riguarda l’atteggiamento, non meno incomprensibile, dell’amministrazione comunale, che ha deciso di interrompere qualsiasi trattativa con il collettivo Bartleby. Il motivo addotto è la partecipazione di Bartleby alla recente occupazione di un cinema dismesso da anni, praticata da diverse realtà di movimento bolognesi devote a “Santa Insolvenza”, e dove sono state indette alcune assemblee cittadine di mobilitazione sulla crisi, a cui hanno partecipato centinaia di persone. Un cinema sotterraneo, dal quale gli occupanti si sono lasciati sgomberare dopo cinque giorni senza colpo ferire. Secondo l’Assessore alla Cultura, l’occupazione avrebbe dimostrato la volontà di non portare avanti la trattativa da parte dei giovani melvilliani. Sarebbe questa l’onta imperdonabile. Evidentemente l’Assessore non si è reso conto che l’occupazione del cinema non era finalizzata a trovare una nuova sede stabile per le attività di Bartleby, bensì ad aprire uno spazio pubblico temporaneo in cui il movimento e la cittadinanza potessero ritrovarsi a discutere sulle sorti collettive e sul da farsi, in un passaggio cruciale come quello che stiamo vivendo. Fino a quel momento infatti le assemblee cittadine si erano tenute presso la biblioteca comunale Sala Borsa, oltre l’orario di chiusura, con inevitabile disservizio per la struttura pubblica (e lì sono ritornate, dopo lo sgombero del cinema).
Viene da chiedersi se i nostri amministratori di centrosinistra si rendano conto che nel mondo esiste un movimento di cittadini che stanno reagendo alla crisi e contestano le ricette con cui si pretende di uscirne. Il dato di fatto è che Bartleby è una risorsa a costo zero per la città. Non c’è reato di lesa maestà che debba essere scontato attraverso l’esclusione da qualunque dialogo con l’amministrazione. Non c’è motivo per cui una realtà collettiva che, nonostante i piccoli spazi, organizza eventi culturali insieme a un’infinità di persone, debba essere chiusa, sfrattata, cancellata dalla mappa di Bologna. Sembra incredibile che non ci sia un’istituzione cittadina disposta a risolvere l’emergenza locativa per consentire che quell’attività prosegua. Evidentemente qualcuno ha deciso che Bartleby deve morire. Invitiamo tutti gli intellettuali e gli artisti che hanno attraversato l’esperienza di Bartleby, e tutti coloro che credono si debba dare una chance al proseguimento di un’esperienza come quella, a prendere la parola pubblicamente contro l’ostracismo e in favore di una ripresa del dialogo.

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