Gianni De Gennaro e Spartaco Mortola possono certo gioire per l’assoluzione decisa martedì dalla Corte di Cassazione, che ha cancellato la condanna inflitta loro in appello per l’accusa di avere indotto alla falsa testimonianza, nel processo Diaz, l’ex questore di Genova Francesco Colucci. Ma per tutti gli altri, cioè i cittadini che abbiano a cuore la Costituzione e l’etica pubblica, questa è una vicenda che suscita soprattutto pena. Per almeno tre motivi.
Gianni De Gennaro e Spartaco Mortola possono certo gioire per l’assoluzione decisa martedì dalla Corte di Cassazione, che ha cancellato la condanna inflitta loro in appello per l’accusa di avere indotto alla falsa testimonianza, nel processo Diaz, l’ex questore di Genova Francesco Colucci. Ma per tutti gli altri, cioè i cittadini che abbiano a cuore la Costituzione e l’etica pubblica, questa è una vicenda che suscita soprattutto pena. Per almeno tre motivi.
1.I fatti. La sentenza della Cassazione, ovviamente, non li può cambiare e la sequenza degli eventi resta quella che è. Nel maggio del 2007 l’ex questore Colucci, deponendo al processo Diaz, cambiò versione sul ruolo avuto da Roberto Sgalla, nel 2001 portavoce della polizia di stato. Fino ad allora e in più occasioni aveva detto che era stato De Gennaro ad inviare Sgalla alla scuola Diaz, nella tragica notte del 21 luglio 2001; in tribunale disse invece di averlo chiamato di propria iniziativa. La differenza non è secondaria, nel primo caso significa che De Gennaro sapeva, con le conseguenti responsabilità, cosa stava accadendo alla Diaz. In mezzo c’è un altro fatto documentato: l’incontro fra Colucci e De Gennaro avvenuto a Roma nell’ufficio del capo della polizia pochi giorni prima della testimonianza. Un incontro nel quale si è parlato del processo Diaz, come hanno confermato sia Colucci che De Gennaro. Colucci, parlando al telefono con Mortola subito dopo, dice fra l’altro: “Il capo (cioè De Gennaro, ndr) praticamente ha fatto marcia indietro in un secondo interrogatorio e io invece devo rivedere un po’ il discorso di quello che ho dichiarato io di Sgalla”. De Gennaro, durante l’inchiesta, ha spiegato l’incontro con Colucci come un’azione tesa a trovare “la consonanza per l’accertamento della verità”. Come qualificare tutto ciò? Sul piano giudiziario, i pm e i giudici di appello hanno optato per l’induzione alla falsa testimonianza; i giudici di primo grado e quelli di Cassazione no. Quanto al piano storico, civile, etico, ciascuno è in grado di giudicare.
2. L’equilibrio fra poteri. In una democrazia appena più seria e funzionante della nostra, il capo della polizia, in quanto responsabile dell’ordine pubblico, si sarebbe dimesso dal suo incarico già nel 2001, causa il disastroso esito del G8 genovese, chiuso con l’uccisione in piazza di un ragazzo, primo caso in Italia dal 1977, e definito da Amnesty International “la più vasta e cruenta repressione di massa della storia europea recente”. Di sicuro, in nessuna democrazia seria e funzionante, il coordinatore unico dei servizi segreti nazionali avrebbe affrontato i tribunali mantenendo la sua poltrona, l’integrità del suo potere, con l’appoggio bipartisan delle forze politiche. La magistratura è un potere dello stato e dev’essere messo in condizione di agire senza pressioni, nella massima serenità. Per questo è bene che i potenti si spoglino delle proprie funzioni quando sono chiamati in giudizio. Sotto questo aspetto, il processo Mortola-De Gennaro è parente stretto del processo Diaz: vi sono state pesanti condanne in secondo grado per alti dirigenti della polizia di stato, e niente è avvenuto. Tutti i condannati sono rimasti ai rispettivi posti. E dire che la Corte europea per i diritti umani ha dato precise indicazioni ai paesi membri per casi del genere: sospensione dei funzionari in caso di rinvio a giudizio; rimozione definitiva in caso di condanna.
3. L’etica pubblica. Chi esce davvero a testa alta da questa vicenda e, più in generale, dai processi scaturiti dal G8 di Genova? Davvero poche persone. I pubblici ministeri che hanno sfidato le opposizioni interne alla magistratura e gli impressionanti tentativi dei vertici di polizia di ostacolare e sviare le inchieste; le vittime degli abusi che hanno testimoniato in tribunale, nonostante l’ostilità e il clima omertoso delle istituzioni pubbliche; i pochi giudici che hanno resistito ai condizionamenti della politica e degli apparati; coloro che nel movimento non hanno mai rinunciato a chiedere verità e giustizia, assumendosi ogni responsabilità e rischio. Tutti gli altri, condannati o assolti che siano, escono dai tribunali senza onore: sul terreno, calpestata, resta quella che in paesi più seri del nostro è chiamata etica pubblica. Perciò possiamo ben dire che la condanna della storia, per come la polizia di stato e le istituzioni pubbliche hanno affrontato gli effetti del G8 di Genova, è senza possibilità di appello
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