BACIARE IL ROSPO?/1. Chi di antipolitica ferisce di antipolitica perisce. L’antipolitica populista berlusconiana è stata abbattuta non dalla politica, cioè sul campo elettorale, e da un qualche disegno politico alternativo al suo, ma dall’antipolitica dei tecnocrati e dei mercati. La mobilitazione di pezzi di società – i giovani indignati, i pensionati ridotti alla miseria, i pubblici dipendenti denigrati e tormentati dal ministro Brunetta – ha fatto da coro.
BACIARE IL ROSPO?/1. Chi di antipolitica ferisce di antipolitica perisce. L’antipolitica populista berlusconiana è stata abbattuta non dalla politica, cioè sul campo elettorale, e da un qualche disegno politico alternativo al suo, ma dall’antipolitica dei tecnocrati e dei mercati. La mobilitazione di pezzi di società – i giovani indignati, i pensionati ridotti alla miseria, i pubblici dipendenti denigrati e tormentati dal ministro Brunetta – ha fatto da coro. Ma, in buona sostanza, i mercati internazionali e i tecnocrati europei hanno imposto la loro verità: quella secondo cui il debito pubblico italiano non sarebbe più sostenibile.
Inoltre, consapevoli dell’inaffidabilità di Berlusconi, insieme a misure difficili da adottare per qualsiasi governo politico, com’è ampiamente dimostrato dalla vicenda greca, hanno imposto l’antipolitica di un governo tecnico, affidato a figure apparentemente apolitiche, che, incuranti delle sanzioni degli elettori o immunizzati da esse, avranno la missione di adottare le misure gradite ai mercati medesimi.
In realtà antipolitica, apolitica, apolitica sono quanto di più politico vi sia. È solo una politica fatta con altri mezzi e altre forme. Toccherà vedere come a tale politica reagiranno le costellazioni d’interesse che innervano la società italiana, molte delle quali, in difesa dei propri privilegi, hanno solo da ultimo abbandonato Berlusconi. Spiccano: la Chiesa, costretta alfine a prendere posizione dallo scandaloso stile di vita privato di Berlusconi; gli imprenditori, piccoli e grandi, che dal governo non hanno ottenuto i sostegni che si aspettavano; la pletora di clientele meridionali, che non spuntano più da un pezzo risorse da distribuire; gli amministratori locali dello stesso centrodestra, assediati dai cittadini privati dei servizi un tempo offerti da comuni e regioni. Per lungo tempo costoro hanno preferito la caricaturale applicazione berlusconiana della dottrina neoliberale, pronta a parassitare lo Stato e la collettività, a una sua rigorosa applicazione, che avrebbe comportato per essi danni alquanto gravi Solo da ultimo hanno scoperto quanto avvelenate fossero le ormai modestissime protezioni offertegli dal centrodestra e che tali protezioni si erano esaurite. Sono però disponibili davvero a una politica di rigore?
Ne consegue che il rischio maggiore che adesso si corre è che il governo Monti costituisca solo una parentesi di scomoda austerità, destinata a chiudersi in poco tempo e con magri risultati. Anzi, sempre che veda la luce, le decisioni scomode che il nuovo governo dovrà prendere potrebbero farne la calamita del malcontento, distraendo l’attenzione dal malcontento e dal drammatico disagio sociale suscitati dal triennio di governo del centrodestra. Apparecchiando infine la mensa per un trionfale ritorno dell’antipolitica populista a spese di quella tecnocratica: Bossi si è già trasferito in Padania a ricaricare le batterie, Berlusconi ha negoziato sul nome del prossimo guardasigilli, ma già Ferrara e compagni scaldano i motori, rivendicando, con la brutalità che è loro consueta, le ragioni della loro antipolitica e quelle del popolo sovrano, espropriato della sua volontà dai mercati, dal capo dello Stato e dai partiti sconfitti alle elezioni del 2008.
Nella sostituzione del governo Berlusconi, sotto la regia del Presidente della Repubblica c’è molto di obbligato. È stata imposta dall’esterno e il Presidente l’ha propiziata con accortezza istituzionale, onde scongiurare un immediato disastro. Liberatoria è dunque l’uscita di scena di un governo che aveva assolto il suo compito tra torbide e rapaci trame affaristiche e brutali strappi alle buone maniere istituzionali e non. Sta di fatto che il medico inviato al capezzale del malato è unanimemente ritenuto un galantuomo e uno studioso di vaglia, ma è pure un interprete convinto e scrupoloso della dottrina neoliberale. Che è una medicina sulla cui efficacia più di un dubbio è legittimo, oltre che per i suoi contenuti economici e sociali, ma ancor di più per i suoi scoperti ingredienti antistatali, insieme ad altri più sottilmente antipolitici, che travalicano la rispettabilità del nuovo presidente del consiglio.
Nello scontro tra antipolitica tecnocratica e antipolitica populista il vaso di coccio rischia d’essere la sinistra, che sostiene la prima ed è disarmata rispetto alla seconda. C’è da sperare che lo capisca, che temperi la sua soddisfazione per l’estromissione di Berlusconi e si prepari al dopo, magari sottraendosi alla soggezione, culturale e psicologica, di gran parte di essa ai poteri forti dell’economia – se non ora, quando? – e alle sue fatue ossessioni bipolari, cominciando anzitutto a ragionare criticamente sull’azione del nuovo governo, che non è per forza da condividere in blocco. Fa bene al cuore vedere tante persone rispettabili al posto di della più sgangherata e squalificata compagine ministeriale che l’Italia abbia conosciuto dalla sua nascita. Ma è alquanto curioso che tra tanti illustri accademici, banchieri, grands commis, non si sia trovato neanche uno strapuntino per un esponente del mondo del lavoro.
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