Tante manifestazioni, colorate e indignate, nella giornata mondiale della mobilitazione studentesca.
A Milano migliaia di ragazzi in piazza per la scuola pubblica e contro l’austerità imposta dai mercati, la polizia blocca lo spezzone diretto alla Bocconi per protestare sotto l’ufficio del rettore onorario Monti
Tante manifestazioni, colorate e indignate, nella giornata mondiale della mobilitazione studentesca.
A Milano migliaia di ragazzi in piazza per la scuola pubblica e contro l’austerità imposta dai mercati, la polizia blocca lo spezzone diretto alla Bocconi per protestare sotto l’ufficio del rettore onorario Monti
MILANO. Il primo giorno di scuola del professor Monti è stato celebrato da migliaia di studenti milanesi con un bel corteo. Non si sentono affatto rassicurati dal governo dei prof e per questo hanno manifestato insieme ai sindacati di base in sciopero. Cambiano le facce dei ministri e allora si punta verso la Bocconi di Monti e la Cattolica di Ornaghi. Ma la sostanza è la stessa: gli studenti non vogliono pagare la crisi e non vogliono che i tagli imposti dai mercati gli rubino il futuro. Nel mirino più che mai ci sono le banche che vengono coperte da manifesti, graffiti e uova marce. Per questi ragazzi ormai il nemico è uscito allo scoperto mettendoci la faccia, più presentabile e meno truccata, ma non meno dura. L’anomalia italiana è finita. Almeno per ora. A Milano, come a New York, si protesta contro il capitalismo finanaziaro di Monti e Passera, senza doversi più preoccupare di far cadere Berlusconi.
Su questo sono tutti d’accordo. Appuntamento come sempre in largo Cairoli. Arrivano i sindacati di base e compongono il loro spezzone. Davanti i Collettivi studenteschi e il centro sociale Cantiere. Un passo indietro la Rete degli Studenti e LabOut vicini al centro sociale Zam e al gruppo dei Corsari. Tre cortei in uno per dare il benvenuto al nuovo governo. I Collettivi studenteschi chiedono di fermare i tagli alla scuola pubblica, ricordano al neo ministro dell’Istruzione Profumo le sue dichiarazioni contro la riforma Gelmini e adesso vogliano che venga azzerata. Basta soldi per spese militari e per finanziare università e scuole private. «Save school not banks».
Il programma è chiaro e condiviso. Peccato che, come si dice nel gergo di movimento, le «pratiche» lo siano meno. E così ci si divide. Lo si sapeva fin dall’inizio. Collettivi verso piazza Cadorna, Lab Out e Rete degli studenti decisi a staccarsi per puntare alla Bocconi e portare la protesta sotto l’ufficio del rettore onorario Mario Monti. Si parte. Male. Tra Collettivi e Rete degli studenti scoppia una mezza rissa per cercare di portarsi dietro il maggior numero di studenti. Un ragazzo ne esce con la faccia sanguinante. La politica c’entra poco. Sono dinamiche autereferenziali che non interessano a nessuno ma che da troppo tempo segnalano la debolezza del movimento milanese. Adesso si parte davvero. I Collettivi contestano le prime parole di Monti a favore di Gelmini e Marchionne. Ragazzi in maschera «sanzionano» (brutta parola un po’ da vigile urbano) le vetrine di Unicredit e Banca Intesa. Protesta più che legittima. Arrivati in via Molino delle Armi il corteo si divide davvero. Ma la polizia sbarra la strada allo spezzone che punta alla Bocconi. Un minuto di trattative. Poi il «book block», ovvero i ragazzi con gli scudi a forma di libro, si accalca contro il cordone degli agenti in assetto antisommossa. Fumogeni, flash dei fotografi e due secondi di manganelli. Duecento metri più in là la scena si ripete. Nel parapiglia un fumogeno finisce in faccia a un video reporter del Fatto Quotidiano che resta leggermente ferito. Non resta che chiudere in piazza Fontana con una piccola acampada.
Dall’altra parte della città i Collettivi fanno un blitz all’Abi e l’associazione dei banchieri d’Italia viene ribattezzata «associazione dei bancarottieri d’Italia», poi protestano sotto la Cattolica: «Basta soldi alle scuole dei preti» e «Ornaghi ministro…di quale cultura?». Finale in piazza Cadorna con assemblea sulle prossime occupazioni.
Il primo giorno dell’era Monti bisognava essere presenti. E così è stato. Ma presto bisognerà cambiare marcia. Partiti e poteri forti si riposizionano, cambiano pelle e facce velocemente e con destrezza. I simboli, le liturgie e gli apparati dei movimenti rischiano di essere superati dai tempi. Anche il dibattito cambia prospettiva: con l’avvento del governo delle larghe intese il dilemma che finora ha spaccato il movimento va aggiornato. Che senso ha adesso chiedersi se è giusto o sbagliato stare con un piede nei partiti, magari per trattare con un futuribile governo di centrosinistra? Quale centrosinistra? E in alternativa che fare?
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