Lo scrittore spagnolo domani riceverà il Premio internazionale del Salone del Libro. Il presente ci obbliga a interpretare il passato in un modo nuovo: questo non significa manipolare i fatti, come qualcuno pensa, o ignorarli bensì rivederli alla luce dell’oggi
Lo scrittore spagnolo domani riceverà il Premio internazionale del Salone del Libro. Il presente ci obbliga a interpretare il passato in un modo nuovo: questo non significa manipolare i fatti, come qualcuno pensa, o ignorarli bensì rivederli alla luce dell’oggi
Nel suo monumentale Dopoguerra, lo storico Tony Judt raccontava una storiella dell´epoca sovietica. Un ascoltatore chiama Radio Armenia per chiedere se sia possibile predire il futuro. “Sì, non c´è nessun problema: sappiamo esattamente come sarà il futuro”, gli rispondono. “Il nostro problema è il passato, che continua sempre a cambiare”. La battuta descrive l´allegra disinvoltura con cui le successive amministrazioni comuniste manipolavano selvaggiamente la storia, estirpando quanto non interessava al perdurare della dittatura; in questo modo, gli avversari di Stalin furono non solo eliminati fisicamente, ma anche cancellati dalle fotografie. Il Potere forse non legge davvero i poeti, ma sa benissimo che, come dice un verso di T. S. Eliot, il tempo futuro è contenuto nel tempo passato, cosicché l´unico modo di dominare il futuro è dominare anche il passato; ne deriva il fatto che il Potere voglia sempre legiferare sulla storia, imporre una lettura della stessa e, nel più delirante e megalomane dei casi, abolirla.
La storiella di Judt contiene però anche una verità meno d´effetto, anche se non meno evidente. E´ vero che il passato è quasi l´unico tempo che possieda una consistenza reale, perché il presente esiste appena – basta menzionarlo per farlo scomparire – e perché il futuro è mera congettura e, quando smette di esserlo, si trasforma in un fugacissimo presente e poi per sempre in passato. Non è vero, tuttavia, che il passato sia qualcosa che rimane immobile, invulnerabile al trascorrere del tempo: il passato è sempre qui, integrato nel presente, che agisce su tutti, perché è la materia di cui siamo fatti e perché, in qualche modo, siamo, anche, ciò che siamo stati; ma, altresì, perché il presente altera il passato: perché quello ci obbliga a interpretare questo in un modo diverso. Nell´ambito dell´arte il fatto è chiarissimo. Fu proprio Eliot ad argomentare che le grandi opere non sono solo quelle che determinano il futuro, ma quelle che riordinano la tradizione, obbligandoci a leggerla sotto una nuova luce, e così Kafka altera la nostra percezione di Conrad o Melville, e Picasso esige che si veda in altro modo Velázquez, e allo stesso modo Bergman o Fellini furono registi diversi dopo alcuni film di Woody Allen o il Don Chisciotte non significa le stesse cose dopo Joyce o Borges. Si dirà che le opere di Fellini o Conrad o Velázquez o Cervantes non cambiano con il tempo; falso: non è solo che a volte le opere del passato cambiano materialmente, perché possiamo ricostruirle con maggiore esattezza; è che cambia sempre la percezione che ne abbiamo e, dato che, in più di un senso importante, le opere d´arte esistono solo nella misura in cui qualcuno le percepisce, sono esse stesse a cambiare.
Qualcosa di simile accade con la storia. Non sto dicendo che i fatti non sono quello che sono ma ciò che ricordiamo che sono; no: i fatti sono quello che sono, inappellabilmente, e per questo l´espressione “memoria storica” è assurda o comporta un ossimoro, poiché la memoria è personale e inevitabilmente soggettiva, mentre la storia è collettiva e deve aspirare ad essere oggettiva. Né sto parlando dell´evidenza del fatto che le ricerche degli storici esumano aspetti sconosciuti del passato, che lo completano e lo modificano. Quello che dico è che il presente ci obbliga a interpretare il passato in un modo nuovo: che, per esempio, la storia del secolo XX non è la stessa dopo gli attentati dell´11 settembre a New York o dopo la caduta del Muro di Berlino. Ciò detto, per noi che professiamo la passione della storia è sconcertante che la peggior qualifica che da anni si possa infliggere a uno storico sia quella di revisionista, in quanto il primo dovere di uno storico consiste precisamente nel revisionare la storia, nel mettere in questione le certezze comunemente accettate e, pertanto, nel proporre un´interpretazione del passato che concordi con le conoscenze e le esperienze del presente.
Altro è ciò che perpetrano per esempio in Spagna alcuni falsi storici che, da un po´ di tempo a questa parte, pubblicano con successo versioni attualizzate delle menzogne della propaganda franchista; o quelli che, per esempio, assicurano che Auschwitz fu in realtà un luogo di villeggiatura. Questo non dovrebbe essere noto come revisionismo; dovrebbe essere noto per quello che è: come una manipolazione o una menzogna o, se preferiamo essere generosi, come semplice ignoranza. Ma che per paura di essere confinati nelle latrine del cosiddetto revisionismo ci siano degli storici che eludano la realtà o si mordano la lingua o rinuncino al coraggioso rischio dell´interpretazione e si rassegnino alla docilità pusillanime dell´ortodossia accademica o ideologica sarebbe una catastrofe da cui nessuno uscirebbe vincitore, salvo quelli che mentono, manipolano e ignorano. In fin dei conti, il mestiere dello storico non consiste soltanto nel raccontare la storia, ma anche – e in fondo è la stessa cosa – nel rivedere o “revisionare” come la storia sia stata raccontata, e nel revisionare la revisione e la revisione della revisione e la revisione della revisione della revisione, e così all´infinito. Vedendo le cose in questa prospettiva, bisognerà concludere che la qualifica di revisionista, applicata agli storici, è quasi pleonastica. Se vediamo le cose in questa maniera, il revisionismo è unicamente ciò che praticano i veri storici.
(traduzione di Luis E. Moriones)
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