Trattativa tra stato e mafia Pisanu: «È tutto vero»

STRAGI ’92 Agente dell’Aisi indagato per l’omicidio di Paolo Borsellino

STRAGI ’92 Agente dell’Aisi indagato per l’omicidio di Paolo Borsellino
«È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica». L’ex uomo di fiducia di Berlusconi agli interni e oggi presidente della commissione antimafia (in rotta di collisione con la sua stessa maggioranza), Giuseppe Pisanu, ha presentato urbi et orbi una relazione dura ed esplicita. Che parla della relazione tra stato e mafia negli anni delle stragi e ipotizza che gli interessi di Cosa nostra sulla vita politica dello stato italiano siano molto consistenti ancora oggi.
Con una scelta che certo non avrà fatto piacere al leader della maggioranza, Pisanu ha piazzato la presentazione della relazione sull’antimafia il giorno dopo la sentenza che ha confermato la condanna contro Marcello Dell’Utri, riducendo la pena a sette anni e azzerando il periodo riguardante la nascita di Forza Italia. E, riunita la commissione, ha spiegato che in quel periodo emerse «un groviglio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato».
Non arriva a dire che quella strategia ebbe successo o conseguenze sulle elezioni che ne seguirono. Anzi, sostiene che è necessario stabilire la verità «politica» di quegli anni (oltre a quelle «giudiziaria e storica»), «per cercare di spiegare ai nostri elettori quale pericolo ha corso la democrazia in quel biennio e come si è riuscito a evitarlo».
Ma la trattativa ci fu, eccome, almeno «in qualche forma» e «Cosa nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza». Anzi ce ne furono due, sottolinea Pisanu. Una «tra Mori e Ciancimino, che forse fu la deviazione di un’audace attività investigativa». L’altra tra Paolo Bellini, uomo vicini all’estrema destra dell’epoca e ai servizi «deviati» e Antonino Gioè, che riguardava anche la restituzione di alcuni oggetti d’arte in cambio dell’alleggerimento del 41bis «da cui nacque l’idea di aggredire il patrimonio artistico».
«La spaventosa sequenza del ’92-’93 ubbidì a una strategia di stampo mafioso e terroristico, ma produsse effetti divergenti», conclude Pisanu. Da un lato ci fu il senso di «smarrimento politico-istituzionale che fece temere al presidente del Consiglio di allora l’imminenza di un colpo di Stato». Dall’altro determinò «un tale innalzamento delle misure repressive che indusse Cosa Nostra a prendere la strada dell’inabissamento».
La relazione è piaciuta molto all’opposizione, poco alla maggioranza (che comunque l’ha appoggiata) e pochissimo al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso che ha detto soltanto: «Per dire certe cose servono le prove».
In effetti, proprio mentre il presidente della commissione antimafia concludeva la propria relazione, da Caltanissetta è arrivata la notizia che Lorenzo Narracci, già vice di Bruno Contrada a Palermo, e oggi funzionario dell’Aisi, è indagato con l’ipotesi di reato di concorso nella strage di Via D’Amelio.
E intanto, la polemica attorno alla condanna di Marcello Dell’Utri non sembra affatto conclusa. Il Partito democratico continua a dire che l’uomo che ha accompagnato Berlusconi per decenni deve abbandonare il senato ed accettare la condanna a sette anni. Ma anche il pressing dei finiani si fa di giorno in giorno più insistente. Ieri Carmelo Briguglio è tornato sull’argomento dal sito di Generazione Italia: «Sul piano politico non c’è niente da festeggiare», scrive, anche perché «poco ci manca che festeggino la sentenza di condanna di una delle persone più vicine, anzi certamente la più vicina a Silvio Berlusconi».

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