Bologna celebra i 30 anni dalla strage

Stockhausen, quei paradisi dedicati ai morti di Ustica

Stockhausen, quei paradisi dedicati ai morti di Ustica

BOLOGNA. L’ora ventunesima del ciclo Klang è fatta di un dialogo di contrasti e accordi tra un nastro di suoni elettronici e un flauto dal vivo. Si chiama Paradies ed è l’ultima pagina scritta da Karlheinz Stockhausen. Dedicata ai morti della strage di Ustica, immaginati – si può presumere – in un viaggio senza fine (estatico, beato) nello spazio. Musica che si ascolta nel giardino che sta davanti all’hangar costruito per ospitare la straordinaria installazione di Christian Boltanski: la sagoma del velivolo Itavia assemblata con i frammenti del disastro, oggetti e suoni accanto e attorno. Le due serate Stockhausen sono la parte curata dall’associazione AngelicA delle celebrazioni per il trentennale della strage. Nella prima serata è in programma, oltre a Paradies, la seconda scena, per coro a cappella, di Sontag aus Licht, intitolata Engel-Prozessionen. Nella seconda serata (a cui non abbiamo potuto assistere) le opere proposte sono Mittwochs-Gruss (1996) e Cosmic Pulses (2007).
I suoni elettronici di Paradies sono una successione concitata (e ripetuta senza troppe variazioni), quasi in un affanno leggero (persino gioioso). Estratti dai loop melodici di Cosmic Pulses, sono «ostinati di frasi» secchi, invitanti, gradevoli. Gentile invasione di alieni nel nostro mondo più che escursioni nelle sfere celesti, alle quali Stockhausen, l’ultimo ma non solo, ha sempre dichiarato di rivolgere la sua attenzione creativa. Si ascolta, si è circondati, da un cerchio di suoni scintillanti che non lasciano sosta. Una macchina caricata a molla, un carillon di inusitata ampiezza prospettica ma di assoluta godibilità. Le sfere celesti di Stockhausen, queste sfere celesti, questo suo paradiso, fanno pensare a un che di tanto terreno! Fanno pensare a ultracorpi, nell’aldiqua, in cerca di diversivi, in cerca di alternative (trascendentali? mica tanto!) all’orrendo ordine costituito del mondo umano.
Il flauto, suonato da una discepola stockhauseniana di lunghissimo corso, Kathinka Pasveer, si infila nel cerchio di suoni, nelle frasi che si inseguono rapide e cordiali, con un suo fraseggiare autonomo, con un procedimento che si potrebbe anche definire «concertato». Si sentono echi della neoavanguardia (mai dimenticare il prodigioso Stockhausen di Darmstadt!) e si subisce il fascino della melodia cantabile. Diciamo una cantabilità senza centri di gravità, quella amata da Stockhausen nei lavori maturi e tardi. Melodie e ornamenti semplici di linee, mai note puntate. E l’allusione a un’atmosfera più arcadica che spaziale. Nelle pause del discorso lirico-mentale del flauto, nei respiri, si sentono brevi frasi di una voce recitante di donna, indicazioni di inflessioni interpretative, annotazioni trasognate dell’autore sull’avvenimento musicale in corso. Tutto l’insieme è un gioco fascinoso, accattivante, riflessivo, ruffiano quel tanto. Un ricordo delle vittime di Ustica – chi se non loro percorre i «pascoli del cielo»? – che sembra assai laico. Vitalistico. Vera devozione, quindi.
Se c’è un omaggio propulsivo, anzi moltiplicativo, esplosivo, all’idea della polifonia, questo è Engel-Prozessionen. Coro a cappella (su nastro) diffuso da otto fonti sonore (magnifica la resa sonora nell’ambiente del Giardino della Memoria, magnifica la regia del suono di Kathinka Pasveer). Un gioco di incastri portentoso. Ma è troppo poco dire così, perché le voci femminili, in coro o in solo, che si staccano dall’insieme, si gettano nel vuoto aereo, scherzano, si impennano, tra frasi appuntite e glissando, costituiscono un’invenzione ulteriore del procedimento polifonico. Nella prima parte questo coro di morti (a cui potrebbe far pensare l’occasione) è del tutto privo di ieraticità e di solennità. Verrà più avanti.
Ma più avanti viene anche la più folle varietà di materiali che si possa immaginare. Il coro diventa solenne e monodico, si scioglie nuovamente, si frantuma, abborda passaggi melodrammatici ottocenteschi, produce interludi rumoristici di schiocchi e scrosci, melodizza post-modern, si ritira nei tocchi avant-garde storica, chiude claustrale staccando da sé una voce esile, in lontananza, su una nota tenuta celestiale. La processione sacrilega del religiosissimo Stockhausen.

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