I primi della lista trasformano in oro il «piombo» dei favolosi anni 70, e fa luccicare la stagione delle lotte operaie e studentesche con tenerezza, humour e nostalgia. Esordio alla regia dello scrittore-sceneggiatore Roan Johnson, classe ’74, nato a Londra da padre inglese e madre italiana, il film ripercorre la storia vera del liceale Renzo Lulli (Francesco Turbanti) che si trovò nel mezzo dell’Italia nera, quella sì di piombo, tra la strage di piazza Fontana e l’assassinio dell’anarchico Pinelli.
I primi della lista trasformano in oro il «piombo» dei favolosi anni 70, e fa luccicare la stagione delle lotte operaie e studentesche con tenerezza, humour e nostalgia. Esordio alla regia dello scrittore-sceneggiatore Roan Johnson, classe ’74, nato a Londra da padre inglese e madre italiana, il film ripercorre la storia vera del liceale Renzo Lulli (Francesco Turbanti) che si trovò nel mezzo dell’Italia nera, quella sì di piombo, tra la strage di piazza Fontana e l’assassinio dell’anarchico Pinelli. Immagini d’epoca scorrono nel bianco e nero della Grecia dei colonnelli, e inquadrano l’avventura del liceale e dei suoi amici, Fabio Gismondi (Paolo Cioni) e Pino Masi (Claudio Santamaria), cantautore, in fuga verso il confine. C’è aria di golpe, la notizia arriva mentre Renzo Lulli prova la Ballata del Pinelli di fronte al musicista che l’ha composta, Masi, autore anche dell’inno di Lotta Continua. Pisa, giugno 1970, il «provino» del ventenne, che ama la chitarra più dell’esame di maturità, prende un’altra direzione.
Nel tono da commedia morettiana, dialoghi e battute dolci-amare dei maldestri militanti, si infiltra surreale la tragedia. Lo scarto tra l’impossibile-plausibile commuove quando i tre, impietriti, al bancone di un bar si vedono circondati da una folla di militari armati scesi dai blindati dell’esercito, e la radio suona l’inno nazionale. È mezzanotte del 2 giugno festa della Repubblica, nessun colpo di stato. Ma c’è poco da ridere. Qualche mese dopo, a dicembre, sarà sventato il golpe di Junio Valerio Borghese. «Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpe istituitasi a sistema di protezione del potere» scriverà Pasolini nel 1975). Così il film segue gli «innocenti», ingenui solo per i moderati di ogni epoca, pronti all’espatrio e alla resistenza oltre frontiera, in un crescendo di equivoci esilaranti, come quando la minuscola A112 sfonda la dogana con l’Austria – «Ma siete pazzi? – dice chi gli preferisce la Yugoslavia – lì c’è nato Hitler!». Magnifici Turbanti e Cioni al loro primo film, e, come sempre, impareggiabile Santamaria nella parte del «leader», che poi, nei titoli di coda, incontreremo insieme agli altri veri protagonisti della storia, tutti finiti volontariamente ai «margini». Piccolo, imperdibile film italiano, riuscito a divincolarsi dalla morsa della Rai, (co-produttrice insieme a Urania Pictures e Palomar) che avrà visto solo tre compagni «sciocchi» cantare Quello che non ho di Fabrizio De André piuttosto che i nostri fantasmi chiedere ancora i nomi degli stragisti.
I PRIMI DELLA LISTA DI ROAN JOHNSON, CON CLAUDIO SANTAMARIA E FABRIZIO BRANDI, ITALIA 2011
0 comments