GUATEMALA. Chiunque vinca sarà  di destra

Non hanno molta scelta i guatemaltechi che oggi si recheranno alle urne per eleggere il loro presidente: comunque sia, voteranno un candidato di destra. Al ballottaggio si presentano l’ex generale Otto Pérez Molina (detto «Mano dura»), fondatore del Partito patriota (Pp), e l’avvocato-imprenditore Manuel Baldizon, del Partito Lider (Libertà  democrazia rinnovamento). Al primo turno, l’11 settembre, i due hanno ottenuto 31,8% e 20% delle preferenze.

Non hanno molta scelta i guatemaltechi che oggi si recheranno alle urne per eleggere il loro presidente: comunque sia, voteranno un candidato di destra. Al ballottaggio si presentano l’ex generale Otto Pérez Molina (detto «Mano dura»), fondatore del Partito patriota (Pp), e l’avvocato-imprenditore Manuel Baldizon, del Partito Lider (Libertà  democrazia rinnovamento). Al primo turno, l’11 settembre, i due hanno ottenuto 31,8% e 20% delle preferenze.
Su 10 candidati al primo turno, 7 erano imprenditori. In parlamento, solo 2 deputati su 158 si dichiarano di sinistra e, nei comuni, solo 5 sindaci su 333. L’unica candidata di alternativa, la maya ex Nobel per la pace Rigoberta Menchu, ha totalizzato solo il 2,8% e il Frente Amplio, l’alleanza che l’ha sostenuta, è oltretutto diviso sul voto di oggi: alcuni partiti sosterranno Baldizon (e accusano Menchu di aver contrattato posti con lui in caso di vittoria) per battere la destra più impresentabile; altri (fra cui l’Urng, l’Unione rivoluzionaria nazionale guatemalteca, partito di ex-guerriglieri) invitano all’astensione.
Su Baldizon dovrebbero confluire anche i voti della Une (Unidad nacional de la esperanza), il partito del presidente attuale Alvaro Colom e della sua ex moglie Sandra Torres, esclusa dalla corsa presidenziale in base all’articolo della costituzione, che vieta ai «parenti» del presidente di candidarsi.
Colom, pur essendo il primo non apertamente di destra da oltre 50, ha fatto ben poco per invertire la tendenza (più della metà della popolazione è sotto la soglia della povertà) e per contrastare i continui assassinii di contadini e sindacalisti. Favorendo l’emergere di nuovi imprenditori privati e sostenendo blande misure sociali (Bolsa solidaria, Mi familia progresa), ha però infastidito le oligarchie tradizionali, il 10% detentore del 70% delle ricchezze.
La ricetta di Baldizon coniuga demagogia populista e tolleranza zero: ritorno alla pena di morte e ulteriore militarizzazione di un paese in cui agiscono 7 grandi cartelli criminali – finanziatori della politica e della campagna elettorale – e la media degli omicidi impuniti è di 17 al giorno.
Il tema dell’insicurezza è stato il cavallo di battaglia anche per l’ex generale Pérez Molina, favorito nei sondaggi e candidato dell’oligarchia. Nel suo entourage, vi sono però figure sospette di legami coi narcos del cartello messicano degli Zetas. Nel ’92, Molina dirigeva l’intelligence militare, e nel ’94 era a capo dello Stato maggiore dell’esercito: il «Comandante fiammifero», come lo chiamavano per la facilità con cui appiccava il fuoco ai villaggi indigeni, è accusato di massacri commessi durante la guerra civile che ha sconvolto il paese dal 1960 al ’96 provocando 250.000 morti (per l’85% attribuiti all’esercito dalla Commissione Onu per la verità storica).

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