IL MOVIMENTO OCCUPY Sono fermamente convinto (non so se per entusiasmo o per invidia) che «the most important thing in the world» («la cosa più importante al mondo»), come Naomi Klein definì qualche tempo fa Occupy Wall Street, sia in questo momento lo sciopero generale di Oakland, in California, la città gemella di San Francisco nella Bay Area. Sì, è uno strano general strike in un paese, gli Stati uniti, in cui non si fanno scioperi generali dal 1946, la cosa più importante del mondo, non l’andamento delle borse europee, dello spread e degli interessi sui titoli di Stato.
IL MOVIMENTO OCCUPY Sono fermamente convinto (non so se per entusiasmo o per invidia) che «the most important thing in the world» («la cosa più importante al mondo»), come Naomi Klein definì qualche tempo fa Occupy Wall Street, sia in questo momento lo sciopero generale di Oakland, in California, la città gemella di San Francisco nella Bay Area. Sì, è uno strano general strike in un paese, gli Stati uniti, in cui non si fanno scioperi generali dal 1946, la cosa più importante del mondo, non l’andamento delle borse europee, dello spread e degli interessi sui titoli di Stato. Perché è da lì che potrebbe venire una risposta alla domanda che, ancora mercoledì, Guido Viale si poneva sul manifesto: chi potrebbe fondare una nuova civilizzazione? Il fatto che le agenzie di rating e i capi di varie nazioni europee abbiano reagito con terrore alla prospettiva di un referendum in Grecia (indetto per altro per ragioni di bassa politica interna), cioè a un pronunciamento popolare, mostra quanto siano vere le parole di Guido Rossi (in una intervista al Corriere): democrazia e mercati non vanno gran che d’accordo.
I ragazzi, la gente di Oakland stanno abbozzando una soluzione al problema. È successo che nella città californiana, come in altre centinaia degli Stati uniti, decine di tende siano spuntate nella piazza davanti al municipio. Poi arriva la polizia, che esagera: Scott Olsen, un ex marine reduce da due turni di servizio in Iraq, attivista di Veterans for peace, che stava fermo, in piedi, davanti ai poliziotti, viene colpito da un lacrimogeno in testa e finisce all’ospedale con una grave frattura cranica. La situazione si infiamma. Gli occupy tornano ri-occupano la piazza, e imprevedibilmente decidono, in una assemblea generale, di organizzare un general strike citywide, che significa uno sciopero «cittadino, della città, di tutta la città». Per deciderlo, si vota. Le regole sono queste: la proposta deve essere approvata almeno dal 90 per cento dei presenti (circa 1600). È la democrazia del consenso, messa in scena anche dalla tecnica ormai generalizzata dei “microfoni umani”: le parole dell’oratore, chiunque sia, vengono gridate in coro da tutti i presenti.
Come ha scritto nel suo sito la Cnn, i ragazzi hanno buona memoria: quel remoto sciopero del ’46 ebbe il suo momento più intenso proprio a Oakland: centomila lavoratori invasero la città, indussero tutti i negozianti a chiudere e invasero il municipio, con alla testa i veterani della guerra appena finita.
Lo scenario potrebbe ripetersi. Tutti i media statunitensi raccontano della previsione di decine di migliaia di persone, nei tre o quattro o cinque appuntamenti dello sciopero. Tre sono quelli “ufficiali”: alle 9, alle 12 e alle 17. Tre diversi orari per permettere a chiunque di partecipare. L’ultimo raduno si trasformerà in un assedio al porto, il quinto degli Stati uniti per volumi di traffico, perché, spiegano gli occupy, siamo al fianco dei lavoratori portuali, impegnati in una dura vertenza contro un mega-esportatore di grano che non solo affama i contadini del sud del mondo ma vuole imporre condizioni inaccettabili al lavoratori del porto. E il sindacato dei portuali ha subito aderito al general strike e organizzato i picchetti. Il sindacato degli insegnanti di Berkeley (che è lì a un passo), pur invitando i suoi iscritti a partecipare allo sciopero, non organizzeranno picchetti. Sostengono il blocco della città anche il sindacato dell’auto Uaw, e l’importantissimo sindacato Seiu, che raduna i lavoratori della sanità, i dipendenti pubblici e quelli dei servizi. La portavoce della sindaca di Oakland ha specificato che gli impiegati comunali possono chiedere un permesso o scioperare senza paga, a scelta. Altri sindacati hanno annunciato la loro partecipazione: un coro talmente unanime che Time, nel suo sito, si è dovuto chiedere se almeno i piccoli negozi resteranno aperti.
Ma non è tutto. Le altre azioni, i cui annunci si moltiplicando di ora in ora, sono il raduno di femministe e queer alle 2 del pomeriggio, una critical mass alle 4, l’assedio di Wells Fargo Bank da parte di organizzazioni ispaniche che accusano la banca di lucrare sulle rimesse dei migranti. Di molte banche e uffici di grandi imprese è in programma il blocco. Organizzazioni comunitarie, gruppi di affinità e di vicinato, famiglie e loro amici sono invitati, in un dettagliato decalogo delle azioni possibili compilato dall’ultima assemblea generale, di fare tutto quel che gli viene in mente, purché – si specifica – non si corrano pericoli: blocchi degli incroci stradali mettendo in scena feste di strada, porta a porta per spiegare a chiunque il senso dello sciopero, ecc. E gli studenti sono naturalmente invitati a uscire dalle scuole, cosa che, secondo i commentatori di diversi giornali della Bay Area, accadrà di sicuro.
Il movimento è così sicuro di sé (o forse sono semplicemente pazzi) da annunciare che imprese o uffici che non permettano ai loro dipendenti di partecipare allo sciopero, che minaccino licenziamenti o punizioni, saranno invase nel corso della giornata. Una tale valanga che il sindacato dei poliziotti ha scritto alla sindaca per dire che gli agenti non sanno più come comportarsi: «Siamo confusi», hanno scritto.
Insomma, il fatto importante è che – parrebbe – l’ondata partita dallo Zuccotti Park di New York, a Oakland è sensibilmente cresciuta: dall’occupazione simbolica e pratica di uno spazio pubblico in città all’occupazione e al blocco di tutta la città. Lo sciopero citywide vuol dimostrare, come dice uno degli slogan più diffusi, che l’1 per cento è ricco perché è il 99 per cento a procurargli quella ricchezza. E parole d’ordine, modi di organizzarsi, assenza di leader e democrazia del consenso riescono a comunicare non solo con i lavoratori in senso stretto, ma con tutti i cittadini, il 99 per cento appunto, che la corporate democracy, il potere dei ricchi, delle imprese e della finanza, sta duramente colpendo. Quando diciamo “autogoverno”, dobbiamo sapere che il primo passo è, o potrebbe essere, molti simile a quello che si sta facendo a Oakland.
Credo che passerò la nottata (di ieri, per voi che state leggendo) attaccato a internet, così mi distraggo dall’alternativa tra Berlusconi e Mario Monti e – spero vivamente – mi tiro su di morale. Il sito giusto è www.occupyoakland.org, ma basta andare su Google, ciccare su news e fare una ricerca con oakland general strike: escono migliaia di articoli e blog. Nessuno in italiano.
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