Ricordo con precisione quando Sacconi e Brunetta divennero ministri. Molti lodarono il Partito Socialista Italiano degli anni Ottanta, che ancora dava classe dirigente al Paese. Martino si affrettò (e forse se ne sarà pentito) a definirli “socialisti blairiani”.
Ricordo con precisione quando Sacconi e Brunetta divennero ministri. Molti lodarono il Partito Socialista Italiano degli anni Ottanta, che ancora dava classe dirigente al Paese. Martino si affrettò (e forse se ne sarà pentito) a definirli “socialisti blairiani”. Poi, si sa, la Storia prese altre pieghe… Le epocali riforme di Brunetta sono parse, perlopiù, giri di vite, intorno a un disegno (quello della PA), ove le maglie burocratiche restano strette e gli incentivi alla produttività strumenti ancora incerti. Sacconi, da liberal-socialista che poteva essere definito, su alcune tematiche –dalle unioni civili al caso Englaro, dimostrò una certa “devozione” ad istanze gerarchiche, pronto a rivendicarle anche in modo clamoroso, “urlato”, non del tutto coerente (ci pare di poter dire) con l’antica aberratio dello strepitum iudicii che dovrebbe animare il più sano impegno cattolico, o su valori cattolici, in politica. Il Ministro Sacconi, in particolar modo,ha detto -riconosco: non proprio letteralmente- che le iniziative volte a riformare lo Statuto dei Lavoratori, anche per il passaggio formale d’una revisione dell’art. 18 (una revisione sostanziale è, invece, già in Finanziaria), potranno ingenerare una ripresa dell’eversione e del terrorismo.
Questa frase è un po’ pericolosa. Innanzitutto, v’è grande dignità e molto ragionamento anche nelle opinioni di chi vuol cambiare il mercato del lavoro senza dover per forza rimaneggiare “norme feticcio” (siano le disposizioni costituzionali sulla proprietà privata o sul bilancio, siano le norme statutarie, siano le modalità concrete della contrattazione collettiva). In più, gettare l’ombra d’una ripresa eversione non pare in conformità con quanto avviene, anche di deteriore, nella contestazione, nel nostro Paese: quella eversione, cui Sacconi fa riferimento, era molto centralizzata, assumeva velleità, a volte, strategiche; era ben diversa cosa dal vandalismo sgraziato, dagli scontri di piazza, dall’indignazione sguaiata: era, nei fatti, una cosa più grave (con tutti gli arbitrii che certo comporta far classifiche di gravità).
Se poi il Ministro intendeva richiamare le antiche massime per cui è necessario svuotare i mari dove sguazzano i pesci più mordaci, ci sembra a maggior ragione che abbia sbagliato obiettivo. Non era mai successo quel che è successo nei movimenti pro-referendari, contro la crisi e sulla economia borsistica e contro la Legge Finanziaria : un numero così alto di associazioni e gruppi che, addirittura sulla base dei propri statuti, si qualificassero “nonviolenti”. Piaccia o non piaccia, sia giusto o sbagliato, è il segno di un’elaborazione che non vuole esasperare il conflitto, semmai moltiplicare in positivo i canali attraverso cui esso può esprimersi. Una cosa è vera, e Sacconi la focalizza bene: il disagio sociale può creare esasperazione e l’esasperazione violenza. Ma il Ministro, leg islatore e uomo di punta di questo governo, avrebbe gli strumenti per ovviare a queste gravi controindicazioni.
Approvare o far approvare provvedimenti che tolgano i cittadini comuni da questa spirale. Con metodo, misura e senza pretese punitive nei confronti degli istituti dello Stato sociale. Il governo e i suoi esponenti avranno la miglior buona fede possibile, e di certo ne hanno la piena legittimità, a denunciare rischi e pericoli di questa crisi e del cambiamento produttivo che coattivamente induce; ma hanno anche avuto (e magari definitivamente sprecato) l’occasione di evitare la spirale di disoccupazione giovanile, impoverimento e stagnazione economica. In questo contrasto, è altrettanto legittimo dire che l’attuale compagine non abbia granché brillato.
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