Trasformazioni / ALLA CENSURA SI È SOSTITUITA LA MACCHINA DEL FANGO
Secondo il blogger americano, i «tecnoutopisti» trascurano le manipolazioni effettuate in Rete dai governi autoritari
Trasformazioni / ALLA CENSURA SI È SOSTITUITA LA MACCHINA DEL FANGO
Secondo il blogger americano, i «tecnoutopisti» trascurano le manipolazioni effettuate in Rete dai governi autoritari
«Twitter Revolution». Un’espressione che è rimbalzata di nodo in nodo nella Rete per poi tracimare sulla carta stampata ed essere ripetuta come un mantra liberatorio da studiosi, anchorman e attivisti libertari. Ha origine nelle mobilitazioni contro il governo di Mahmud Ahmadinejad alcuni anni fa, quando gli scontri di piazza e le violenze della polizia e delle milizie iraniane furono documentate attraverso i messaggi e i video che gli attivisti inviarono in Rete per essere ripresi da migliaia di internauti in giro per il mondo. Quando poi la rivolta in Egitto e Tunisia è dilagata e Piazza Tahrir è diventata il simbolo delle primavere arabe, «Twitter Revolution» si è mutato in una sorta di paradigma per spiegare il fatto che tra movimenti sociali e Rete esiste un rapporto di eterodirezione della comunicazione online sull’agire politico.
Chi non è convinto di questa tesi è Evgeny Morozov, studioso bielorusso che vive da diversi anni negli Stati Uniti (è visiting scholar alla Stanford University) e ha scritto un libro molto avvincente sulle tante illusioni che hanno accompagnato la rete come strumento di libertà e di come ogni cambiamento radicale abbia il suo momento organizzativo privilegiato nei tweets, gli sms e nelle relazioni amicali nate nei social network.
Il volume, Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom, è stato tradotto da Codice edizioni e sarà presentato oggi a Genova all’interno del Festival della Scienza. Negli Stati Uniti ha dato vita a una discussione che non si è ancora placata, visto che la tesi che sviluppa è stata considerata come un colpo di maglio contro la tecnoutopia – Internet non solo è uno spazio di assoluta libertà, ma favorirà un’altrettanta assoluta libertà fuori dallo schermo. La lettura del libro, tuttavia, sgombera il campo da questa interpretazione. Morozov sostiene che i tecnoutopisti peccano di una eccessiva ingenuità – da qui il titolo italiano, L’ingenuità della rete – che li porta a ignorare, meglio rimuovere, aspetti della vita online, come l’uso da parte degli stati autoritari della Rete per esercitare un controllo capillare delle discussioni su Internet.
Gli esempi portati da Morozov sui modi in cui la Cina, l’Iran, la Bielorussia e altri stati autoritari (da segnalare un certo semplicismo dell’autore nel classificare come tale anche il Venezuela di Hugo Chavez) utilizzano la rete per neutralizzare il dissenso sono molto convincenti. E altrettanto persuasivi sono le analisi di come, negli Stati Uniti, i think thank conservatori o democratici abbiano fatto propri gli argomenti dei tecnoutopisti per convincere che il binomio tra democrazia e mercato è il migliore dei mondi possibili.
Il cambiamento, le rivoluzioni, i movimenti sociali non nascono perché c’è la Rete, ma per altre ragioni. Una verità in effetti banale, e tuttavia importante per sottolineare che la «Twitter Revolution» altro non è che una trovata giornalistica che poco o nulla riesce a spiegare di come funzionino i movimenti sociali – la forma a sciame che nega la loro continuità temporale e che non si accorda con i meccanismi spuri della decisione politica, con la crisi radicale della democrazia e la difficoltà di immaginare il consenso oltre i sondaggi d’opinione, così diffusi in Rete.
Fa dunque bene Morozov a mettere in guardia dalle illusioni sulla Rete come sinonimo di libertà. La sua tesi – Internet come regno della propaganda – è tuttavia simmetrica a quanto affermano i tecnoutopisti o degli esponenti politici o studiosi, laddove affermano che il web è l’utopia divenuta realtà. Più realisticamente, occorre misurarsi con le trasformazioni intervenute dentro e fuori lo schermo.
Non siamo, infatti, all’alba di una grande trasformazione, perché la grande trasformazione è alle nostre spalle. In altri termini, l’agire politico, come anche le tecnologie del controllo sociale sono stati già modificati dalla Rete. Da qui bisogna partire per elaborare un punto di vista critico sia delle manipolazioni che le imprese e i governi svolgono rispetto la comunicazione on line, sia di come i movimenti, o il «dissenso» – termine che ricorre nelle pagine del libro di Morozov – usano la Rete per amplificare e talvolta coordinare le proprie azioni. Quello che viene meno con la Rete è proprio l’antitesi tra libertà di espressione e censura.
I governi – e il caso della Cina è emblematico – sono infatti sempre più restii a esercitare censura. Semmai istituiscono quello che Pierre Bourdieu ha chiamato il campo culturale: dove l’ingresso è regolato, ma non negato; e una volta entrati, le regole sono già state codificate. Una volta dentro, non c’è altra strada che rispettarle, pena non l’esclusione, ma una persistente stigmatizzazione delle posizioni eterodosse. La macchina del fango o un gruppo hacker «allineato e coperto» alle posizioni dominanti sono infatti più efficaci della censura, sostiene a ragione Morozov. I filtri, la selezione di ciò che è rilevante e ciò che è futile avviene nel modo di produzione delle nuvole di dati, ultime frontiere dello sfruttamento commerciale della comunicazione. I profitti provengono infatti dalla produzione di senso che le imprese fanno anche per conto dei governi. Le tecnologie del controllo sociale che non hanno dunque bisogno di censure preventive, ma di governare il flusso delle informazioni. Per sfuggire a questa manipolazione raffinata, non serve né spegnere il computer o lo smartphone, ma di radunare uno sciame che riesca a funzionare come un cloud computing e che faccia comparire sugli schermi dei manipolatori occulti la scritta: system failure.
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