Pubblicato il 'Transparency Report', radiografia della censura operata dal potere

Il motore di ricerca leader al mondo, Google, ha respinto la richiesta delle autorità  statunitensi di censurare alcuni video pubblicati su YouTube in cui si vedono episodi di violenza da parte delle forze dell'ordine; è quanto emerge dalla pubblicazione del rapporto biennale sulla trasparenza di Google. Anche alcune autorità  della polizia avrebbero tentato di far sparire i video incriminati.

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Google, la censura dei governi

Pubblicato il ‘Transparency Report’, radiografia della censura operata dal potere

Il motore di ricerca leader al mondo, Google, ha respinto la richiesta delle autorità  statunitensi di censurare alcuni video pubblicati su YouTube in cui si vedono episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine; è quanto emerge dalla pubblicazione del rapporto biennale sulla trasparenza di Google. Anche alcune autorità  della polizia avrebbero tentato di far sparire i video incriminati.

Pubblicato il ‘Transparency Report’, radiografia della censura operata dal potere

Il motore di ricerca leader al mondo, Google, ha respinto la richiesta delle autorità  statunitensi di censurare alcuni video pubblicati su YouTube in cui si vedono episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine; è quanto emerge dalla pubblicazione del rapporto biennale sulla trasparenza di Google. Anche alcune autorità  della polizia avrebbero tentato di far sparire i video incriminati.

Le richieste di censura da parte della polizia degli Stati Uniti sono parte di un fenomeno più ampio, che ha visto aumentare del settanta per cento nel corso degli ultimi due anni le istanze di rimozioni di video legati a inchieste, episodi di criminalità, violenze o dissenso politico. Le richieste provengono per la maggior parte da autorità di pubblica sicurezza, giudiziarie o governative. E’ la prima volta che i dati del Transparency Report vengono resi pubblici. Risulta che nel periodo da gennaio a giugno, gli Stati Uniti hanno chiesto informazioni riguardo a undicimila utenti di Google; più o meno le stesse richieste sono state inoltrate dagli altri 25 Paesi del mondo industrializzato. “Crediamo che fornire per la prima volta informazioni con tale dettaglio rispecchi la necessità di modernizzare una legislazione antiquata, come l’Electronic Communications Privacy Act statunitense, che risale a 25 anni fa, anni prima dell’accesso alle mail da parte degli utilizzatori abituali di computer”, ha spiegato Dorothy Chou, analista politica di Google.

In cima alla lista (sempre nel periodo riferito ai primi sei mesi dell’anno) troviamo con 224 richieste il Brasile, che stacca tutte quante le altre nazioni a causa della diffusione sul suo territorio del social network Orkut (che al 53 percento ha iscritti brasiliani), alle cui richieste Google è dunque chiamato a rispondere. Al secondo posto la Germania, con le sue 125 richieste, legate prevalentemente a materiale neonazista.

Nello specifico, Google ha fornito informazioni generiche sulle richieste dei vari Paesi. In Cina, YouTube è rimasto inaccessibile durante il periodo esaminato, e il governo ha fatto tre richieste di rimozione. Tra queste, una relativa a un contenuto che il provider non ha rivelato in quanto il governo cinese ne ha vietato la diffusione. In India sono state inoltrate richieste di rimozione di video che mostravano proteste, riportavano linguaggio offensivo o riferimenti religiosi in relazione ad alcune autorità politiche del Paese. La società di Mountain View ha declinato la maggioranza delle richieste. In Thailandia, il ministero dell’Informazione ha chiesto di cancellare dal canale 225 video che mostravano ‘insulti alla monarchia’, in violazione della legge di lesa maestà. Google ha impedito l’accesso al 90 percento di tali filmati.

Per quanto riguarda il nostro Paese, il governo ha preteso la rimozione di 36 video. La richiesta è stata soddisfatta in 31 casi. Ottanta contenuti sono stati rimossi, dei quali la maggior parte per diffamazione (16) e violenza (18) su YouTube, e per diffamazione da blogger (18). Le richieste di dati personali sono invece state 934, accolte nel 64 percento dei casi.

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