Un volume sugli «Indignados» spagnoli
Dalle acampadas alle assemblee di quartiere, l’esperienza di un movimento sociale divenuto un modello, nonostante le sue difficoltà a elaborare forme organizzative che vanno al di là della delega e della rappresentanza
Un volume sugli «Indignados» spagnoli
Dalle acampadas alle assemblee di quartiere, l’esperienza di un movimento sociale divenuto un modello, nonostante le sue difficoltà a elaborare forme organizzative che vanno al di là della delega e della rappresentanza
Il 15 maggio è una data che in Spagna è considerata il simbolo di un movimento che da Madrid si è poi diffuso in molti paesi, fino a giungere a Wall Street, strada sinonimo della «dittatura della finanza» contro cui quel movimento si batte. In quel giorno, una manifestazione convocata da «Democracia Real Ya» non si conclude come è consuetudine. Il tam tam ha detto che la manifestazione non si concluderà con il consueto comizio. Inizia una lunga assemblea che durerà fino a tarda serata. Ma poi accade che invece di defluire, in migliaia si accampano. Non lasceranno quella piazza per settimane e settimane. Al di là dell’agiografia, gli indignados costituiscono tuttavia un momento di discontinuità rispetto ai movimenti che l’hanno preceduto. Discontinuità nelle pratiche; discontinuità nel rapporto con le organizzazioni tradizionali dell’agire politico (i partiti e i sindacati). Sia ben chiaro: gli indignados spagnoli non inventano nulla; molte delle cose che affermano fanno parte del lessico dei movimenti sociali – ad esempio, la pratica del consenso che rifiuta le logiche in base alle quali che per prendere una decisione si sia sempre una maggioranza in suo favore e una minoranza che dissente -, ma le loro parole d’ordine hanno la capacità di diventare «luogo comune».
Come testimonia il libro Indignados (Editori Riuniti, con saggi di Jaume Botey, Rafael Díaz-Salazar, Óscar Mateos, Jesús Sanz, pp. 62) c’è un fattore nuovo che spiega la rapida diffusione del movimento. Al centro delle loro parole d’ordine c’è una critica radicale della demcorazia rappresentativa, spesso equiparata a una forma specifica di oligarchia, e l’invito a chi è «senza voce» a prendere al parola. Altro aspetto, non meno importante, è che gli indignados si qualificano come precari, disoccupati e tutti gli impoveriti dalla crisi economica che vogliono contrastare la «dittatura della finanza» e le politiche economiche neoliberiste. Posizione che porterà gli indignados a guardare con indifferenza, se non ostilità l’invito a votare a sinistra nelle successive elezioni amministrative e regionali: nei loro testi non c’è molta differenza tra i socialisti di Zapatero e il partito polare.
Wikipedia del movimento
Dunque crisi della democrazia rappresentativa e opposizione alle politiche neoliberiste. Sono queste le caratteristiche che fanno crescere il consenso agli indignados. Il passo successivo è quello di dare vita a forme organizzative adeguate al rifiuto della rappresentanza dopo che le acampadas sono smobilitate. Assemblea di quartiere, campagne contro la precarietà, sviluppo di gruppo di scambio alternativo al mercato, lotta all’austerità attraverso autoriduzioni, picchettaggi contro gli sfratti. Un tessuto molecolare di iniziative che trovano la continuità nella socializzazione delle esperienze durante le assemblee decentrate. Da questo punto di vista è interessante la lettura che ne ha dato il sociologo catalano Manuel Castells.
Studioso dei media e della «galassia internet», Castells ha stabilito un diretto rapporto tra alcune modalità della comunicazione nella Rete e l’organizzazione degli indignados spagnoli. Il modello è quello chiamato wiki, dove ognuno può partecipare senza filtri. La decisione avviene dopo una lunga discussione che modifica proposte, punti di vista. Se in rete questo ha una qualche potenza, perché i modelli wiki sono finalizzati a produrre software e enciclopedie spesso più efficienti di quelle «tradizionali», per i movimenti sociali significa la pratica di una «democrazia reale» dove il termini efficacia assume un altro significato. Infatti, la scansione temporale dell’agenda politica degli indignados non dipende da quanto stabilito dal potere politico, economico e dai media mainstream. Insomma, una sospensione del tempo in nome della condivisione, stella polare del movimento, che non nasconde le diversità al proprio interno, ma le usa affinché la decisione politica presa sia, appunto, condivisa oltre il principio della maggioranza e della minoranza.
La tesi di Castells sull’analogia tra Rete e movimento è certo affascinante, ma non è esente da contraddizioni, al punto che tutte le proposte degli anni passati di pensare a organizzazioni reticolari dei movimenti sociali hanno dovuto fare i conti proprio con la difficoltà di elaborare procedure condivise della decisione politica. Seguendo il lessico «indignato», qual è, infatti, il luogo in cui la condivisione avviene? L’assemblea, con tutti i limiti che le assemblee . Inoltre, viene detto che gli indignados esprimono la loro potenza politica perché riescono a comunicare le loro proposte. Ma così facendo, un movimento sociale si riduce a prassi comunicativa, cioè ad opinione pubblica, delegando a piccoli gruppi l’agire politico, rimuovendo così la centralità della lotta alle politiche di austerity hanno avuto nella crescita degli indignados. Non è neppure auspicabile che un movimento sociale venga presentato come una forma di vita in cerca della sua regola (da questo punto di vista è interessante la riflessione della distanza tra forma di vita e regola che fa Giorgio Agamben nel suo Altissima povertà, Neri Pozza editore). Ma un movimento sociale non si caratterizza perché innocente pratica comunicativa, nè solo come stile di vita, bensì come uno spazio di politicizzazione dei rapporti sociali.
L’austerità che viene
Ed è su questo crinale che l’indignazione lascia il campo agli elementi attinenti la dimensione materiale che è dietro il sentimento nobile, ma che rischia di diventare afasico dell’indignazione. E che costringe a fare i conti non solo con la crisi delle costituzioni formali, ma con le costituzioni materiali che più che l’indignazione preferisce l’indisponibilità, il rifiuto. Precarietà, finanziarizzazione del welfare state e della vita activa, impoverimento costringono a riaprire il discorso. Ed è su questi nodi che gli indignati spagnoli discutono molto animatamente nelle assemblee locali, come d’altronde emerge da questo volume.
Non è affrontato il perché gli indignados si sono diffusi. non è un limite, questa assenza, ma la consapevolezza che Puerta del Sol non è comparabile con quanto accaduto in altri paese, in particolare modo in Italia e Stati Uniti. Emergono infatti diversità «nazionali» e costituzioni materiali e composizioni sociali che si articolano diversamente, nonostante la dimensione transnazionale della crisi economica. In ogni caso, come in un rosaio, emergono tutti i nodi che gli indignados stanno ancora cercando di sciogliere. Su questo giornale (il 22 ottobre) Massimo de Carolis ha posto una domanda: come pensare una politica extraparlamentare? Domanda che coglie il cuore del problema, ma che certo non trova risposte convincenti nella riproposizione di dicotomie – disobbedienza versus insurrezione; oppure rivolta verso tumulto – che proprio i movimenti sociali di questi anni avevano considerato archeologia di un passato che non c’è più.
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