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Boris Vian. Le poesie mai cantate del musicista-ingegnere

Su una pila di fogli la versione censurata della sua canzone più celebre, “Il Disertore”, e accanto la chitarra con cui la suonò. E poi disegni, invenzioni, appunti per romanzi, brani inediti Nella casa di Montmartre il mondo segreto del più eclettico tra gli artisti di Francia. Ora celebrato con una grande mostra e un raffinatissimo libro

 

Su una pila di fogli la versione censurata della sua canzone più celebre, “Il Disertore”, e accanto la chitarra con cui la suonò. E poi disegni, invenzioni, appunti per romanzi, brani inediti Nella casa di Montmartre il mondo segreto del più eclettico tra gli artisti di Francia. Ora celebrato con una grande mostra e un raffinatissimo libro

  PARIGI.  Al muro è appesa la chitarra con doppie corde sulla quale è stata composta Il Disertore. Boris Vian aveva acquistato questo strano strumento ispirato all´antica lira greca nel negozio del fratello Alain, in Saint-Germain-des-Prés, quando le difficoltà respiratorie non gli permettevano più di soffiare nella sua amata tromba tascabile, che lui teneva sempre sotto al braccio e chiamava «trompinette». Tra una pila di fogli, il manoscritto della prima versione della canzone che si concludeva con: «E dica pure ai suoi/se vengono a cercarmi/che tengo un´arma/e so anche usarla». Era il 1954, guerra d´Indocina. Nessuna casa discografica accettò di incidere la canzone. Alla fine, Vian cambiò l´ultima strofa in un manifesto pacifista senza più ambiguità: «E dica pure ai suoi/se vengono a cercarmi/che possono spararmi/io armi non ne ho».
«Molti pensano che Il Disertore sia stata scritta durante la battaglia di Dien Bien Phu, invece risale a qualche tempo prima» racconta Nicole Bertolt, direttrice della fondazione Boris Vian che ci guida nella casa dell´artista a cité Veron, dietro al Moulin Rouge, accanto a quella dell´amico Jacques Prévert. Sulla porta di vernice verde, la targhetta dice solo: “Ingegnere, musicista”. Ma qualsiasi categoria va stretta a Boris Vian, troppi talenti per quarant´anni di vita appena. Ha lasciato dietro di lui una scia luminosa di romanzi, poesie, racconti, articoli, traduzioni, disegni, spettacoli, oggi celebrati in una grande mostra alla Bibliothéque Nationale e da un raffinato libro, Post-Scriptum (edizioni Cherche-Midi). Onnivoro, ecclettico, visionario. La musica è una passione iscritta nel nome, scelto dai genitori in omaggio all´opera Boris Godunov di Modest Mussorgsky. La madre è pianista, il padre ascolta Carlos Gardel. Lui s´innamora del jazz, il ritmo proibito, è il primo dei suoi tanti gesti di contestazione. Nella prefazione a L´Écume des Jours, scrive: «Sono solo due le cose che contano: l´amore, in tutte le sue forme, con belle ragazze, e la musica di New Orleans e di Duke Ellington. Tutto il resto è da buttar via, perché è brutto».
Un´altra parete è coperta dai 33 giri, i cofanetti rilegati di Charlie Parker, Louis Armstrong, Coleman Hawkins. «Ha incominciato a collezionarli da adolescente, li usava per fare i surprises-parties nella casa di famiglia di Ville d´Avray». Suona con i fratelli, creano il gruppo Accord Jazz. Nell´aprile 1939 vede finalmente il suo dio, Ellington, che si esibisce al palazzo di Chaillot. Miscela esplosiva di regole e improvvisazione: il suo stile. Con la «trompinette» va a suonare per gli americani nelle caves di Saint-Germain, insieme alla prima moglie Michelle e all´amica Juliette Gréco. Oggi la trombetta di Vian non esiste più, è rimasta solo la custodia che si era fabbricato, in legno e cartone con fodera di velluto arancione. «Vian costruiva quasi tutto con le sue mani. In questa casa – racconta Bertolt – non solo ha fatto alcuni mobili e librerie ma anche il sistema elettrico e di riscaldamento». C´è ancora lo sgabuzzino con i suoi attrezzi di lavoro. Un bricoleur di oggetti e parole, come quel «pianocktail» che s´ispira al pianoforte nell´appartamento parigino e rimanda all´ebbrezza tra jazz e alcol.
Il chansonnier Vian firma oltre seicento canzoni, molte inedite, alcune mai messe in musica e rimaste orfane. Nella casa di Montmartre, sono state tutte conservate dalla seconda moglie Ursula, morta l´anno scorso, e ora da Nicole Bertolt, che rappresenta gli eredi. Vian scrive una canzone in poche ore, è un paroliere nato, abituato a pensare in rime. Usa quasi sempre una penna Bic blu, a volte rossa. Accanto ai testi, compaiono fiorellini, strane geometrie o i «miam», testoline sorridenti che sembrano anticipare gli attuali smiley. Con la musica ha un rapporto d´amore subito ricambiato, mentre i suoi romanzi non vendono abbastanza, lo fanno litigare con gli editori e lo costringono ad affrontare tormentate vicende giudiziarie. Il vero successo letterario sarà postumo. Scrive critiche musicali sui giornali, diventa direttore di case discografiche, scopre giovani talenti come Georges Brassens, Serge Gainsbourg. Lavora spesso in coppia con il compositore Alain Goraguer, tenta anche di cantare i suoi brani ma dura poco. «Soffriva troppo della tensione davanti al pubblico» ricorda Bertolt che mostra una foto di Vian prima di andare in scena.
Con l´amico Michel Legrand fa scoprire ai francesi con ironia cos´è il rock. «I suoi interpreti preferiti sono Henri Salvador e Magali Noël, perché sapevano divertirsi e avere la leggerezza necessaria». L´artista impegnato, sovversivo, era anche un raffinato burlone. C´è una vecchia registrazione di Fais-moi mal Johnny in cui Noël e Vian alla fine scoppiano a ridere. Nella musica, Boris Vian ha fatto tutto: compositore, paroliere, musicista, interprete, critico, discografico. «Solo, non amava danzare» aggiunge Bertolt. Era un uomo alto e massiccio. Prendeva Ursula, che era una bellissima ballerina, e la faceva salire in punta dei piedi sulle sue scarpe. «Facciamo il ballo del Bisonte e dell´Orso», scherzava cercando di camminare con lei abbracciata in equilibrio. Prima di morire, nel 1957 aveva incominciato a scrivere un´opera. Titolo: Il Mercenario. L´ultimo appello a Monsieur le Président.

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