È andato in onda sulla tv americana Hbo il documentario “Living in the material world” Tre ore e mezza di interviste e immagini inedite sull’artista scomparso dieci anni fa Quando i Beatles esordirono, John era in imbarazzo: avevo 17 anni ma ne dimostravo poco più di dieci Eravamo come una famiglia. E proprio come succede tra moglie e marito dopo un po’ non ne puoi più
È andato in onda sulla tv americana Hbo il documentario “Living in the material world” Tre ore e mezza di interviste e immagini inedite sull’artista scomparso dieci anni fa Quando i Beatles esordirono, John era in imbarazzo: avevo 17 anni ma ne dimostravo poco più di dieci Eravamo come una famiglia. E proprio come succede tra moglie e marito dopo un po’ non ne puoi più
NEW YORK. Che sia un documentario d´autore si vede subito. La cura delle immagini, l´intelligenza del montaggio, l´agilità del racconto, l´ambientazione dei personaggi intervistati. Soprattutto – trattandosi della vita di un ex Beatles – schiva la tentazione di scadere nel luogo comune, di raccontare il già raccontato, di riproporre le immagini di repertorio che in questi quarant´anni hanno saziato, persino intossicato, il mondo. Ma poiché la mano che ha guidato Living in the material world, il lungometraggio su George Harrison trasmesso dalla tv via cavo Hbo in due parti mercoledì e giovedì (a novembre sulla Bbc e nelle sale inglesi), è quella di Martin Scorsese il risultato era garantito in partenza. Qualche critico lo ha trovato meno appassionante di No direction home, il film che il regista aveva realizzato su Bob Dylan. Ma Scorsese non è film maker da brividi a buon mercato e con lo scrupolo del direttore d´orchestra indaga sulle vicende del Beatle timido e introverso che nella spiritualità ha realizzato la sua “second life”. Grazie anche agli archivi personali di Harrison messi a disposizione del regista dalla vedova Olivia che firma un libro, appena uscito, che porta lo stesso titolo del film. Scorsese non fa mistero della simpatia per il suo coetaneo (classe 1943) che ha speso la sua maturità alla ricerca dell´illuminazione: «George Harrison è stato la mia guida e la mia ispirazione per quarant´anni», ha dichiarato alla presentazione del film a Londra, la scorsa settimana.
«Cari mamma e papà, i concerti sono andati alla grande, il pubblico era in delirio, dovunque andiamo siamo scortati da venti poliziotti in moto», scrive George, ventenne, dal primo tour trionfale con la band. «Mia madre era un´entusiasta della musica», racconta in un´intervista filmata da Scorsese prima della morte, «era fiera di avere un figlio con la chitarra in mano». Dice McCartney: «John e io cercavamo un chitarrista. Un professionista non uno strimpellatore come noi. George era un po´ troppo giovane (John era del 1940, Paul è del ´42), ma i suoi riff ci incantarono subito». Svela Harrison: «Quando arrivai alle prove Lennon aveva una chitarra a quattro corde, non riusciva a suonarne una normale».
Scorsese riesce persino a trovare una originale chiave d´accesso all´era Beatles attraverso il racconto di Klaus Voormann (bassista ed artista tedesco premiato con il Grammy per la copertina di “Revolver”) e della sua compagna dell´epoca, la fotografa Astrid Kirchherr, che ad Amburgo scattò immagini memorabili ai quattro di Liverpool – talmente impressionanti da risultare uno dei piatti forti della prima parte del documentario, più dei racconti dei fratelli di George o di Eric Clapton (che sposò la modella Pattie Boyd, la prima moglie di George). «Quando i Beatles esordirono», dice Harrison «John era in imbarazzo. Avevo 17 anni ma ne dimostravo dieci». Quella fu anche la sua fortuna con le ragazze, molte erano sedotte dall´aspetto adolescenziale che avrebbe conservato fino al periodo psichedelico, quando si fece crescere barba e capelli e si lasciò guidare dall´acido lisergico in un cammino mistico che avrebbe seguito fino alla fine. «Eravamo come una famiglia», confida McCartney, «e proprio come succede tra moglie e marito dopo un po´ non ne puoi più».
Ma quando arrivò il momento critico – seconda parte del film – i Beatles, prima di litigare, cominciarono a viaggiare dentro se stessi. Qualcuno, a un party, fece scivolare pillole di acido lisergico nelle loro bibite. Da lì il loro percorso creativo avrebbe preso un´altra piega. Fulminante e brevissima. Quando partì per il suo primo viaggio in India e sperimentò gli effetti della meditazione trascendentale, il “nuovo” George scrisse una lettera a sua madre Louise per rassicurarla: «Non pensare che il rocker sia morto, tutt´altro. E´ solo che adesso amo voi e tutto il mondo come mai prima».
Qui nasce la leggenda del Beatle buono, tranquillo, sereno, caritatevole, più attento al suo equilibrio interiore e all´armonia tra sé, gli altri e la natura che al successo. L´ex Beatles ha vissuto così l´ultimo quarto di secolo con Olivia Arias, la seconda moglie, che ha lavorato incessantemente affinché il progetto Scorsese andasse in porto. Quello che Voormann chiama «l´uomo che sempre metteva pace tra i Beatles», continuò senza Lsd (rinnegò la droga dopo una visita a Haight-Ashbury, il quartiere hippie di San Francisco) il viaggio che aveva iniziato in acido. Il racconto degli ultimi giorni è toccante, soprattutto nelle parole di Ringo Starr e di Olivia. Trascorse con sua moglie un´estate alle Fiji, sapendo che sarebbe stata l´ultima. Le disse: «Spero di non essere stato un cattivo marito». «Fu un´esperienza catartica quando lasciò il suo corpo, il 20 novembre 2001», conclude Olivia. «Se qualcuno avesse voluto filmare il suo trapasso non avrebbe avuto bisogno di luce elettrica. Lui illuminò la stanza».
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