Il petrolio di Cuba e l’embargo

Usa e dintorni Nelle acque della zona cubana del golfo del Messico ci sono dai 9 ai 20 miliardi di barili di petrolio. Ma l’ostinato e stupido embargo taglia fuori le compagnie statunitensi

Da dicembre via alle perforazioni con alla testa un consorzio guidato dagli spagnoli della Repsol La mano tesa dei cubani anche ai gruppi petroliferi Usa non ha spostato il niet della Casa bianca L’ossessione americana aumenta anche i rischi in caso di una fuoruscita di greggio come quella causata dalla Bp l’anno scorso

Usa e dintorni Nelle acque della zona cubana del golfo del Messico ci sono dai 9 ai 20 miliardi di barili di petrolio. Ma l’ostinato e stupido embargo taglia fuori le compagnie statunitensi

Da dicembre via alle perforazioni con alla testa un consorzio guidato dagli spagnoli della Repsol La mano tesa dei cubani anche ai gruppi petroliferi Usa non ha spostato il niet della Casa bianca L’ossessione americana aumenta anche i rischi in caso di una fuoruscita di greggio come quella causata dalla Bp l’anno scorso

L’AVANA. «Perfora, Cuba, perfora>. Un recente editoriale di Investors.com lancia un avvertimento rivolto al governo e ai petrolieri statunitensi: la compagnia petrolifera spagnola Repsol ha rotto ogni indugio e si prepara a estrarre petrolio nelle acque cubane antistanti la Florida. La gigantesca piattaforma semisommersa Scarabeo 9, costruita in Cina e affittata dall’italiana Saipem, sta per giungere nella «Zona economica esclusiva» (Zee) di Cuba nello stretto di Florida e in dicembre, una volta finita la stagione ciclonica, sarà operativa. «Entro la fine dell’anno avrà scavato un pozzo di 5500 piedi (circa 1700 metri, ndr) di profondità a una novantina di chilometri da Key West . Poi, l’anno prossimo, la piattaforma verrà utilizzata da altri partners della cordata guidata dalla Repsol per perforare altri sei pozzi, alcuni dei quali al di sotto dei 5000 piedi, ovvero a una profondità maggiore di quella in cui operava la piattaforma Macondo della Bp che l’anno scorso, a causa di un incidente, ha inquinato una vasta area del golfo del Messico con 5 milioni di barili di greggio. Lo ha dichiarato giorni fa Lee Hunt , dirigente della International Association of drilling contractors, appena tornato da una missione all’Avana assieme a una delegazione del Environmental Defense Fund della quale faceva parte William Reilly, vice presidente della commissione nominata da Obama per investigare e redigere un rapporto sul disastro causato dalla Bp.

Una recente pubblicazione dell’Istituto geologico degli Usa stima che nei fondali della Zee cubana vi siano circa 9 miliardi di barili di greggio e 22000 miliardi di piedi cubi di gas associato. Le stime cubane sono ancor più ottimiste e prevedono 20 miliardi di barili di petrolio. Tale «bacino» è stato diviso in 59 lotti «affittati» ad alcune importanti compagnie petrolifere internazionali ( tra i quali la cinese China National Petroleum, l’indiana Ongc, la Petronas della Malesia, la venezuelana Pdvsa) . Quattro anni fa, la Repsol attuò una serie di perforazioni che provarono l’esistenza di greggio, ma la qualità del medesimo e gli alti costi di perforazione e produzione indussero la compagnia spagnola a prendere tempo. Oggi, con gli attuali prezzi del petrolio, la Repsol è pronta ad affrontare le conseguenze dell’embargo (cinquantennale, inutile e condannato, come succede in questi giorni, dalla quasi totalità dei paesi dell’Onu) imposto dagli Usa a Cuba. «La piattaforma Scarabeo 9 non viola l’embargo perché solo meno del 10% della tecnologia che utilizza è Made in Usa. Però possiede equipaggiamenti dell’ultima generazione fabbricati in Norvegia» e anche «un sistema di fabbricazione statunitense di prevenzione di blow-out (fughe) di greggio più avanzato di quello che utilizzava (e che fece cilecca, ndr) la piattaforma Macondo della Bp>, ha affermato Hunt.
Più politico l’intervento di Dan Whittle, avvocato del Fondo di difesa ambientale: l’embargo impedisce alle compagnie americane di collaborare con l’ente petrolifero cubano Cupet e con le autorità dell’Avana per evitare i rischi di un nuovo disastro, ha dichiarato in una conferenza stampa ripresa dai maggiori quotidiani Usa. «Col fatto di non poter lavorare insieme a causa dell’embargo, ci stiamo dando la zappa sui piedi», ha affermato, visto che un incidente a meno di cento chilometri dalla Florida «avrebbe un impatto disastroso anche per gli Stati degli Usa che si affacciano nel golfo del Messico». Whittle ha detto chiaramente che «le autorità cubane sono pronte a collaborare con gli esperti americani, visto che prendono sul serio i pericoli ambientali delle perforazioni in acque profonde… Intanto, tecnici cubani si stanno addestrando in piattaforme off-shore della Petrobras in Brasile» e «la Repsol si è rivolta a compagnie norvegesi e inglesi e brasiliane per collaborazione e assistenza in caso di incidenti alla Scarabeo 9». «Ci siamo rivolti al Tesoro (ministero che controlla l’embargo Usa, ndr) affinché dia alle compagnie americane specializzate nelle operazioni di pulizia del greggio fuoriuscito in mare una speciale licenza per operare con i cubani. L’amministrazione Obama ha l’autorità per farlo. Ma fino ad oggi non vi è stata alcuna reazione alle nostre richieste».
Non vi è da stupirsi visto il fuoco di sbarramento attuato dai calibri pesanti dai falchi anti-castristi che abbondano nelle fila dei repubblicani e non mancano in quelle dei democratici. La repubblicana di origini cubane Ileana Ros-Lehtinen, presidente della Commissione esteri del Congresso, ha duramente criticato la missione all’Avana della delegazione ambientalista affermando che così «si dà credibilità alle aspirazioni di Cuba di diventare il tycoon petrolifero dei Caraibi». Assieme ad altri parlamentari ha poi chiesto che siano messe in atto misure urgenti di rappresaglia contro la Repsol. Raccomandazioni pericolose in un momento in cui le relazioni tra Washington e l’Avana non attraversano un momento favorevole.
A metà settembre il presidente Obama ha criticato il governo cubano perché – a suo dire – non è «sufficientemente fermo nel voler cambiare la sua politica economica… né diligente nel rispetto dei diritti umani». Successivamente l’ex governatore del New Mexico, Bill Richardson, era giunto all’Avana con l’ambizione di ottenere la liberazione di Alan Gross, l’esperto informatico inviato a Cuba dall’agenzia Usaid, in carcere da 22 mesi e condannato per aver fornito a oppositori cubani sistemi di comunicazione che aggiravano i controlli statali. Richardson era dovuto ritornare a casa a mani vuote, accusando il governo cubano «di non voler migliorare le relazioni con gli Stati uniti». Infine, il 16 settembre la giudice Joan Lenard, del Distretto del sud della Florida, ha negato a René Gonzàlez, uno dei «cinque eroi» cubani in galera da 13 anni negli Usa per aver spiato i gruppi anti-castristi della Florida, il diritto di ritornare a Cuba e raggiungere la sua famiglia, quando, domani 7 ottobre, avrà finito di scontare tutta la pena ingiustamente inflittagli (che prevedeva anche carcere duro). González, che ha anche la nazionalità Usa, dovrà restare in libertà vigilata altri 3 anni in territorio statunitense, dove la sua vita è messa in pericolo dai gruppi ultrà anti-castristi.
L’Avana prende molto sul serio la pericolosità di questa situazione, tanto che martedìgiorni fa, nel suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu, il ministro degli esteri Bruno Rodríguez Parrilla ha ribadito la volontà del governo cubano di «avanzare verso la normalizzazione dei rapporti» con gli Usa e ha proposto di iniziare un dialogo «diretto alla soluzione dei problemi bilaterali, incluso quello dei diritti dell’uomo», e ha offerto alla Casa bianca di negoziare vari accordi di cooperazione, che vanno dalla lotta al narcotraffico alla protezione dell’ambiente, inclusa la prevenzione di disastri come quello causato dalla piattaforma della Bp nel golfo del Messico.
La mano tesa, rivolta anche ai potenti gruppi petroliferi Usa, non ha però spostato di una virgola la politica del presidente Obama: gli Stati uniti – ha dichiarato – sono pronti a cambiare la politica nei confronti di Cuba, ma finora non hanno visto passi avanti del governo Raúl Castro» in materia di liberazione dei prigionieri politici e dei diritti umani, «che possano giustificare la fine dell’embargo». Pronta e caustica la risposta di Fidel che ha accusato il presidente Usa di «verguenza supervisada», vergogna vigilata, con riferimento alla liberà vigilata inflitta a González, e di «stupidità» (tonteria), non avendo capito che più di 50 anni di embargo non sono serviti e non serviranno a nulla.

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EMBARGO Affari con Cuba: piovono le multe negli Usa

Ferve la «persecuzione» delle autorità Usa contro le compagnie statunitensi (e anche straniere) che hanno contatti e fanno affari con Cuba. Ultima vittima della caccia alle streghe è la compagnia Flowserve Corp., con sede a Irving in Texas, che si è vista affibbiare due maxi-multe, 502 mila dollari e di 2.5 milioni di dollari, per aver venduto strumenti per le prospezioni petrolifere a compagnie che commerciano con Cuba in violazione delle leggi dell’embargo. La compagnia texana è specializzata in sistemi impiegati dalle piattaforme petrolifere per la perforazione in acque profonde (come appunto la Scarabeo 9). Negli ultimi mesi i gruppi anti-castristi ultrà della Florida e del Congresso stanno premendo sulla Casa bianca perché prenda iniziative più dirette e drastiche per impedire i piani di sviluppo petrolifero che Cuba sta portando avanti con un consorzio internazionale. 34 congressisti, fra cui la pasionaria della Florida Ileana Ros-Lehtinen, hanno presentato una denuncia contro la spagnola Repsol, capofila del consorzio, esigendo la cancellazione dei suoi piani per la perforazioni di pozzi nelle acque cubane del golfo del Messico. Su Repsol incombono minacce commerciali e legali negli Stati uniti. Non c’è solo il petrolio: sanzioni sono state comminate, con la stessa accusa, a Sprint Airlines, United Radio, Sonida Internacional, Atlantic Bank.

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