L’Europa, il cinema e la crisi secondo il regista. Le sale multiplex sono templi del popcorn dentro i quali il cinema è diventato solamente un accessorio. Mi sembra osceno che con i cellulari gli uomini siano sempre raggiungibili. Non è giusto, mi disturba
L’Europa, il cinema e la crisi secondo il regista. Le sale multiplex sono templi del popcorn dentro i quali il cinema è diventato solamente un accessorio. Mi sembra osceno che con i cellulari gli uomini siano sempre raggiungibili. Non è giusto, mi disturba
GINEVRA. Signor Jean-Luc Godard, in un´Europa dominata dalla crisi, qual è il suo rapporto col denaro?
«Lo ritengo un mezzo per raggiungere fini. In un loro libro, ex combattenti della Résistance scrissero che fino al 1943 il denaro per loro fu mera merce di scambio per sopravvivere e procurarsi armi. Non per guadagnare. Il mio problema è che vivo sempre del denaro che mi occorre per il film che sto girando, quindi devo sempre girare nuovi film».
Il suo ultimo lavoro, “Film Socialisme” dice: “il denaro è un bene pubblico come l´acqua…”.
«Naturalmente il denaro non è un bene pubblico, ma dovrebbe esserlo».
Non vive anche lei del denaro del diritto d´autore?
«E´ parte del mio reddito. Andrebbe bene anche senza. Non esiste la proprietà intellettuale. Gli autori non hanno diritti, solo doveri».
Sempre in “Film Socialisme” mette in scena un piroscafo che tocca i luoghi storici della cultura europea: è una metafora dell´Europa?
«Di un´Europa che si è perduta attraverso la sua Storia».
La nave va anche in Grecia…
«Tedeschi, francesi, inglesi hanno corrotto Grecia, Tunisia o altri paesi, dovremmo rimborsare qualcosa. Ci sarebbe una soluzione semplice: pagare loro dieci euro ogni volta che usiamo logica o cultura dell´antica Grecia. E chi non ha denaro non abbia diritto di usare quel pensiero, pensi altrimenti».
In quale stadio della storia del capitalismo ci troviamo?
«Siamo dominati da quanto si può chiamare tecnologia. Io non ho un cellulare. La gente crede di padroneggiare tasti e display del telefonino, ma è il contrario. Col vecchio telefono fisso non è così. E´ come il rapporto tra cane e padrone uniti da un guinzaglio. Ma ci sono due padroni o due schiavi. Il cane controlla il padrone, e insieme è vero il contrario. A volte la tecnica mi sembra oscena».
In che senso?
«Mi sembra osceno che gli uomini siano sempre raggiungibili, non è giusto, mi disturba. C´è una specie d´inerzia sciocca davanti al predominio della tecnologia».
Ma la gente non si è mai emancipata dalla tecnica…
«Avrebbero potuto, non l´hanno mai voluto. Quando penso all´acceleratore di particelle qui presso Ginevra, a quanto è costato, mi dico, potremmo investire il denaro altrimenti. Potremmo. Penso a una frase di Dostoevskij: “Ognuno può fare in modo che non esista un Dio”. Ma nessuno lo fa».
La disturba che il capitalismo sia criticato da un punto di vista economico e non culturale?
«Esiste una critica culturale del capitalismo, ma resta scritta, letteratura, “écriture”, da cui non esce alcuna visione. A una critica culturale dovrebbe appartenere anche una critica con le immagini».
C´è ancora bisogno d´immagini?
«Ci sono grandi mostre di noti pittori, visitate da grandi masse. La gente ha bisogno di vedere qualcosa che parla senza legame con la lingua. Ma le esposizioni sono in edifici che sembrano mausolei o chiese, li si visita in processione come in un tempio, il tempio del profitto».
Anche il cinema ha i suoi templi?
«Le sale multiplex. Templi del popcorn in cui il cinema è solo un accessorio. Mi chiedo come possa emergere una critica culturale del capitalismo, se la cultura si è così capitalisticizzata».
Che pensa di chi vede il futuro del cinema in Internet?
«Troppe sequenze in Internet, e su centomila forse tre sono a metà interessanti. La rete resta una democrazia con molte informazioni, ma senza un vero senso, ed è dominata da sacerdoti chiamati server, dominati a loro volta da grandi aziende».
Come ricorda la Nouvelle Vague?
«Eravamo giovani, cercavamo, eravamo in collera, e ammetto, eravamo terribilmente seri, così seri che alcune delle avventure che narrai allora oggi mi fanno ridere, sebbene fossero tragedie».
Meglio che farsi un monumento.
«Chi mi stupisce è Daniel Cohn-Bendit. E´ strano ritrovarlo come europarlamentare, lo vedo sempre come il giovane ribelle, mi chiedo se non si annoi a morte. Ma forse anche lui guarda così a me, come un ottantenne in Svizzera che prepara un nuovo film: la storia di una coppia che non si capisce, e poi si capisce meglio appena possiede un cane».
(© Die Zeit – la Repubblica)
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