LE RIFORME DI RAàšL

Dal primo ottobre i cubani possono comprarsi legalmente un’automobile. Finora era permesso acquistare una vettura solo se immatricolata prima del ’59. Per questo le vie dell’isola erano percorse soltanto da residuati Usa e ferrivecchi ex-Urss

Dal primo ottobre i cubani possono comprarsi legalmente un’automobile. Finora era permesso acquistare una vettura solo se immatricolata prima del ’59. Per questo le vie dell’isola erano percorse soltanto da residuati Usa e ferrivecchi ex-Urss

 L’AVANA. Vendesi. Dal parabrezza di una Lada di un improbabile color cobalto occhieggia un cartello vergato con un pennarello nero. La scritta attira l’attenzione di molti passanti, incuriositi nonostante il sole di inizio ottobre sia ancora impietoso.

Per un italiano non vi sarebbe nulla di strano nella scritta piazzata nell’auto (a parte che quasi nessuno sarebbe interessato all’acquisto di un modello ex-sovietico che risale agli anni ’70 del secolo scorso). A Cuba, quel cartello rappresenta non solo una novità, ma quasi un cambio generazionale: dal primo ottobre tutte le auto (e tutti i veicoli a motore di due e più ruote) possono essere vendute o donate liberamente tra cittadini. Lo Stato entra nella transazione solo imponendo una tassa (modesta, il 4% su un valore minimo stabilito secondo l’età di immatricolazione del veicolo) imposta sia all’acquirente (tassa di proprietà), sia al venditore (tassa sul reddito).
Prima della promulgazione della nuova legge, negli ultimi cinquant’anni, per i cubani era possibile comprare solo veicoli usati importati prima del 1959, anno della vittoria della rivoluzione castrista. Le altre auto, appartenenti a cittadini che avevano avuto un’autorizzazione speciale per comprare le vetture o che le avevano ricevute come premio, non potevano essere vendute. Più precisamente, non poteva essere ceduta la proprietà del veicolo – registrata presso il competente ufficio di motorizzazione del ministero dell’interno. Un ostacolo, questo, che non ha mai fermato la bramosia di un mezzo personale di trasporto del cubano che aveva a disposizione il denaro per comprarselo: così negli anni scorsi a Cuba chi acquistava una vettura usata immatricolata dopo il 1959, circolava con il libretto intestato al vecchio proprietario. Che magari poi emigrava all’estero o si trasferiva in un’altra città.
Questa pratica – «pacto de confianza», in pratica acquisto sulla fiducia – non legale, ma assai diffusa e dunque tollerata, ha avuto due effetti. Il primo, di alzare artificiosamente il costo delle auto pre-1959 (quelle, popolarmente chiamate «almendrones» per la carrozzeria che assomiglia a una grossa mandorla, che hanno reso uniche le strade dell’Avana e delle altre città dell’isola) ma anche di catenacci di origine sovietica (Lada, Moskvic, Volga) e ancor più di «auto moderne», negli ultimi anni soprattutto di provenienza giapponese o sudcoreana. Il secondo effetto è di far circolare nelle strade dell’isola decine di migliaia di veicoli per così dire ibridi – tipo carrozzeria Chevrolet del 1956 e motore Lada, ma con una fantasia di incroci veramente impressionante – fortemente inquinanti. Le auto nuove – a parte aziende e residenti stranieri autorizzati – erano praticamente riservate alla nomenclatura di Stato o a artisti e atleti famosi.
A Cuba il parco automobilistico privato viene stimato a circa 300.000 veicoli. La parte del leone la fanno gli almendrones e i ferrivecchi ex-sovietici. Per questa ragione, la nuova legge era una delle più attese all’interno delle riforme annunciate dal governo del presidente Raúl Castro per «attualizzare» il socialismo cubano. Resta, è vero, la limitazione per i cubani e gli stranieri residenti permanenti a comprare auto nuove nelle concessionarie statali. Infatti, il governo impone uno speciale permesso dato dal ministero dei trasporti alle persone che abbiano ottenuto ingressi economici in moneta convertibile «come risultato del loro lavoro in funzioni assegnate loro dallo Stato o nell’interesse di quest’ultimo» e che verrà concesso ogni cinque anni. Ma la nuova legge, che, come scrive il quotidiano del Partito comunista Granma «elimina più di 40 proibizioni e limitazioni», è stata accolta con grande favore dalla popolazione.
«Cuba inizia a essere differente», scriveva nei giorni scorsi Félix López sul Granma. Perché all’Avana convivono due capitali che lottano per il medesimo spazio: «una città addormentata nel tempo» e l’altra «che acquista nuova vita» grazie alle iniziative private lanciate con le riforme, caffetterie, ristoranti, palestre (più di 300), barbieri e annunci di tutti i tipi che «ci avvertono dell’esistenza, un po’ confusa, di venditori di cd piratati, falegnami, meccanici, muratori, sarte , massaggiatori…». E continua: «anche i volti dei cubani cominciano ad essere differenti». Infatti la gran maggioranza dei 333.000 cubani che hanno scelto di buttarsi nell’agone dell’iniziativa privata in una delle 181 attività permesse por cuenta propria, si stanno abituando a vivere, appunto, «contando su se stessi» e non «a cavalcare sulle spalle dello Stato». Dunque non più solo volti annoiati (e preoccupati) di chi «fingeva di lavorare in un ufficio improduttivo per un salario che nemmeno un mago era capace di stirare fino alla fine del mese». Ma anche facce di gente che deve affrontare una nuova realtà, investimenti, imposte, disciplina e legalità, contando sulle proprie forze e capacità.
Come conseguenza, scrive López, «la nostra gente parla a voce alta della sua vita quotidiana, dei cambiamenti che si sperimentano, della lentezza con cui si attuano altri, dei burocrati che incominciano a sentirsi in scacco, dei corrotti seduti nel banco degli accusati, della necessità che il giornalismo assomigli sempre più alla vita». Il tutto, avverte il giornalista, nell’ambito di riforme che saranno attuate per rafforzare il socialismo e non per smantellarlo e avendo ben chiaro, come ha detto il presidente Raúl, che «la pianificazione e non il libero mercato sarà il volto distintivo dell’economia» cubana.
Le riforme di cui parla l’articolo citato sono però necessarie e soprattutto urgenti. Per capirlo non c’ è bisogno di essere un membro della minoritaria opposizione – che negli ultimi giorni lancia, soprattutto all’estero, allarmi per una «ondata repressiva» – per avvertire che il fermento descritto da Granma potrebbe alla lunga trasformarsi in forte malumore, espresso anche in proteste di strada.
Regole, come quelle che impedivano l’acquisto di auto ( e di una casa, la prossima riforma che si attende entro la fine dell’anno) e la limitazione delle possibilità di viaggiare all’estero sono assai impopolari. I salari insufficienti e la prospettiva dell’eliminazione della tessera annonaria – la libreta -, la doppia moneta (salari in pesos, generi di prima necessità in moneta, il cuc, convertibile), l’aumento dei prezzi che impedisce a una parte della popolazione di mettere in tavola in forma stabile carne, verdure e persino frutta, creano malcontento e possono costituire un brodo di cultura di proteste popolari. Specie nei quartieri poveri e marginalizzati a maggioranza di popolazione nera.
Il problema è ben presente al governo – anche la questione dei neri e delle relazioni razziali a Cuba sarà trattata nella prossima conferenza del Partito comunista prevista a gennaio.
La settimana scorsa il presidente ha però avvertito che l’urgenza non può compromettere la qualità delle riforme economiche e sociali da attuare, che devono essere programmate con estrema razionalità. Ed è proprio per questo che il «nuovo volto dell’Avana» è caratterizzato oggi da speranza, ma anche preoccupazione per il presente e ansia per il futuro.

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