Percorsi / NUOVI MODELLI, IGNOTI AL MONDO
Settore nodale delle riforme di Pinochet, l’educazione si basa su sistemi privatistici che hanno costretto migliaia di giovani a lasciare il paese
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Settore nodale delle riforme di Pinochet, l’educazione si basa su sistemi privatistici che hanno costretto migliaia di giovani a lasciare il paese
Il 21 aprile del 1975 Milton Friedman scriveva al suo caro amico Augusto Pinochet una lunga lettera, quasi un manifesto fondativo del neoliberismo, in cui condannava il «regime» (sic!) di Salvador Allende e proponeva tutte quelle riforme che di lì a poco sarebbero stare realizzate da José Piñera, fratello dell’attuale presidente del Cile, e allora ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale (1978-1980). Fu lui ad assumere i famigerati «Chicago boys» e a promuovere la privatizzazione del sistema pensionistico. Il risultato della cura neoliberista: se durante il governo di Allende si contavano un milione di poveri, nel 1992, dopo vent’anni di capitalismo selvaggio, il loro numero era salito a sette, mentre la percentuale della popolazione al di sotto della soglia di povertà (il reddito minimo per due pasti al giorno e un tetto) passava dal 20% al 44,4% (tra il 1979 e il 1987). Le conseguenze sociali e culturali di questo vero e proprio «laboratorio biopolitico» internazionale sono visibili nel film del regista Pablo Larraín Tony Manero, straordinaria allegoria del neoliberismo e vincitore del Torino Film Festival nel 2008.
Un film da rivedere affiancandogli la lettura di qualche saggio di David Harvey per capire la natura profonda della Primavera cilena, che dal maggio scorso vede migliaia di studenti e di lavoratori occupare le piazze e le strade manifestando il rifiuto del modello sociale neoliberista, e ottenendo il sostegno di circa l’80% della popolazione. L’educazione, insieme al sistema pensionistico, è stato ovviamente uno dei settori strategici delle riforme di Pinochet, un sistema sostanzialmente privato che di fatto ha costretto migliaia di studenti a rinunciare agli studi o a emigrare, essendo più facile sostenere i costi per un trasferimento che non quelli per le rette universitarie. Sono circa cinquemila gli studenti cileni che negli ultimi anni sono andati a studiare in Argentina.
Ma il movimento studentesco che ha segnato la Primavera cilena può contare anche su una notevole carica «semiotica» il cui fuoco si concentra in Camila Vallejo, ventitreenne laureanda in geografia, leader mediatica che è riuscita a rovesciare l’odio delle oligarchie cilene e i tentativi di screditare il movimento attraverso i mass media. Lo scorso agosto, in un post pubblicato su twitter, una dirigente del Ministero della cultura definiva la portavoce della Fech (Federazione degli studenti dell’Università del Cile) una «cagna», augurandosi la sua morte. Era la stessa frase utilizzata da Pinochet in riferimento ad Allende. Un episodio che ben esemplifica l’odio delle destre per chi è riuscito a riportare in piazza i cileni. Recentemente, invece, l’intellettuale e vicepresidente boliviano Alvaro Garcia Linera, parlando di Camilla Vallejo, ha dichiarato al «Guardian» che «siamo tutti innamorati di lei».
Come spiega bene il manifesto pubblicato in questa pagina e promosso da un gruppo di storici di diversi atenei, non si tratta solo di studenti: la Primavera cilena è un movimento ampio e composito che segna il ritorno della politica e chiude la lunga stagione della transizione alla democrazia, che in realtà non era mai riuscita a fare i conti con il modello sociale inaugurato dal golpe del ’73. Insieme al movimento spagnolo del 15M e alla Primavera araba, la Primavera cilena segna una svolta e si lascia alle spalle le macerie del neoliberismo, quasi ripetendo i versi composti dal francescano Tommaso da Celano nel XIII secolo, cuore di un’altra transizione: «Un nuovo ordine, un nuovo modello di vita sorge, sconosciuto al mondo».
Per adesioni e sottoscrizioni: manifiestodehistoriadores@gmail.com
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