Quelle arabe sono state chiamate Twitter Revolution, sottolineando il ruolo che la rete e i telefoni cellulari hanno avuto nell’organizzare i despoti tunisino e egiziano. Con il tempo, l’enfasi ha lasciato il posto a una più cauta valutazione, che ha tuttavia sottolineato che Internet è stata il megafono di quelle insurrezioni al di fuori della Tunisia prima e l’Egitto poi.
Quelle arabe sono state chiamate Twitter Revolution, sottolineando il ruolo che la rete e i telefoni cellulari hanno avuto nell’organizzare i despoti tunisino e egiziano. Con il tempo, l’enfasi ha lasciato il posto a una più cauta valutazione, che ha tuttavia sottolineato che Internet è stata il megafono di quelle insurrezioni al di fuori della Tunisia prima e l’Egitto poi. Ora Augusto Valeriani ha mandato alle stampe un saggio che analizza il «fattore Twitter» nelle mobilitazioni delle Organizzazioni non governative, nel giornalismo e nella diplomazia (Twitter factor, Laterza, pp. 183, euro 12). L’autore è convinto che la Rete abbia profondamente influito nel modo di produrre e far circolare l’informazione. In primo luogo ha quasi del tutto annullato lo spazio temporale tra elaborazione e diffusione dell’informazione, grazie al circolo virtuoso dell’interattività. Il modello comunicativo «da tutti a tutti» consentito da Internet ha cioè reso i media molto più esposti alle critiche e alla capacità di demistificazione da parte dei «consumatori di notizie». Da qui la diffusione del cosiddetto citizen journalism, cioè di uomini e donne che gestiscono siti informativi non commerciali, portando in evidenza fatti e accadimenti che i media tradizionali avrebbero ignorato; oppure la capacità di condizionare le scelte dei media inviando direttamente a giornali e tv articoli, reportage e video.
La comunicazione politica, invece, ha nella Rete uno straordinario strumento per essere più capillare. Da qui il dubbio che tale pervasività diventi la via maestra per una colonizzazione della vita sociale. Ma se questo è uno dei rischi presenti nella rete, per le Organizzazioni non governative il web diventa un medium potente nelle campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica occidentale su temi drammatici come la fame, la violazione dei diritti umani. Con acume, Valeriani ricorda l’uso di alcune star, come Angelina Jolie, fatto dall’Onu o da altre Ong per denunciare la situazione di alcuni paesi africani.
Per quanto la diplomazia, il «fattore Twitter» ha sicuramente aiutato gli Stati nazionali nel presentare le proprie posizioni su lacune controversie internazionali. Allo stesso tempo, però, la Rete è diventata il canale di diffusione di cables riservati, come dimostra l’azione di Julian Assange e Wikileaks. Dunque un processo di democratizzazione della diplomazia, da sempre poco propensa a rendere pubbliche le proprie azioni e trame.
Augusto Valeriani ha l’indubbia capacità di sottolineare le discontinuità tra passato e presente, offrendo tuttavia una lettura progressiva del «fattore Twitter». Ciò che viene messo in ombra sono infatti i fattori «indicibili» della Rete. Ad esempio, il citizen journalism consente ai media di accedere gratuitamente a fonti di informazione non conformiste o a pagare molto poco i «collaboratori-cittadini». È cioè il modo per appropriarsi dell’intelligenza collettiva presenti in Rete.
Allo stesso tempo i social network usano le informazioni personali come merce da vendere al migliore offerente; oppure a trasformare le clouds (le nuvole) di dati formati dall’informazione su una insurrezione come quella tunisina come una proprietà di questa o quella impresa. Lo stesso vale per le public relation avviate dagli stati nazionali attraverso Facebook o Twitter. In entrambi i casi, avviene una spettacolarizzazione della politica attraverso quella produzione della realtà che, lo stesso autore riconosce, essere una caratteristica della Rete. Per sfuggire alle tentazioni di abbandonare la Rete o, all’opposto, di aderire acriticamente alla vita in rete vale il vecchio adagio di stare «dentro e contro» per smontare le false illusioni alimentate dal «fattore Twitter».
0 comments