La globalizzazione viaggia in container

SCAFFALI «Le multinazionali del mare» di Sergio Bologna

 

LIBRI SERGIO BOLOGNA LE MULTINAZIONALI DEL MARE, EGEA EDIZIONI, PP. 325, EURO 28

SCAFFALI «Le multinazionali del mare» di Sergio Bologna

 

LIBRI SERGIO BOLOGNA LE MULTINAZIONALI DEL MARE, EGEA EDIZIONI, PP. 325, EURO 28 Occuparsi di porti e di trasporto marittimo richiede una capacità di tenere insieme l’intreccio di relazioni tra imprese, forza-lavoro, Stati, attori a vario titolo inseriti nel sistema economico e politico internazionale. Sulla scia della sua attività professionale e scientifica, oltre che della sua militanza di lungo periodo, Sergio Bologna nel suo ultimo lavoro (Le multinazionali del mare. Letture sul sistema marittimo-portuale) analizza da un punto di vista storico lo sviluppo della struttura del sistema logistico marittimo-portuale soffermandosi sul periodo del cosiddetto «super-ciclo» (2002-2007), vale a dire sul momento di massima espansione del settore del trasporto a livello internazionale. Il libro intende anche e soprattutto spiegare le evoluzioni successive, quando la crisi economica rompendo gli schemi consolidati richiede una nuova idea di gestione che non sembra ancora vedersi dispiegata all’orizzonte perché, salvo nobili eccezioni, le grandi multinazionali presenti nel settore continuano a muoversi come se nulla fosse accaduto attendendo una ripresa o l’intervento salvifico dello stato. La loro forma mentis è infatti stata educata all’emulazione, non ad affrontare un momento di crisi eccezionale.

Il volume si apre con la ricostruzione della portualità europea dalla metà dell’Ottocento a oggi, che l’autore scandisce in cinque fasi: fondazione, industrializzazione, ricostruzione, deindustrializzazione, globalizzazione. Nello sviluppo della portualità è fondamentale il ruolo municipale e statale a cui si affianca, a partire dai primi anni del Novecento, la grande industria; i destini dei porti sono così strettamente connessi agli impianti produttivi limitrofi che garantiscono, anche durante il primo periodo di de-globalizzazione (1920-’30), una base importante di traffici. Dopo le ristrutturazioni del secondo dopoguerra, i primi processi di deindustrializzazione iniziano già negli anni Settanta. È proprio in quegli anni che nasce la portualità moderna, cioè l’intermodalità, grazie all’invenzione del container e alla progressiva standardizzazione delle operazioni.

L’intermodalità porta con sé una chiarissima impronta di classe: riduzione degli organici, disgregazione di comunità operaie coese e ripresa del comando sulla catena del trasporto. Sebbene questa trasformazione sia tutt’altro che omogenea e priva di «asperità», il nuovo sistema assume i connotati industriali con un flusso di sequenze rigide e riproducibili nel quale la tecnologia svolge un ruolo prescrittivo. L’automazione però non solo riduce i rischi, ma erode anche la tradizione di abilità e di saperi taciti propria dei portuali sostituendola con capacità individuali di tipo tecnico-informatico.
Alla rivoluzione intermodale Sergio Bologna dedica un’ampia parte del volume, poiché essa pervade l’intero sistema dei trasporti, dalla forma-nave ai sistemi di movimentazione delle merci, dalle banchine all’organizzazione del lavoro portuale e marittimo. Se le tipologie di navi più diffuse non superano la decina, ciascuna ha però un proprio mercato e proprie problematiche. E sono proprio le diversità nelle caratteristiche della nave che impediscono ai terminal, anche a quelli più standardizzati e informatizzati, di essere macchine funzionanti come una catena di montaggio. Un punto questo sul quale l’autore insiste a più riprese perché le operazioni portuali variano profondamente sulla base delle tipologie di navi servite e quindi oscillano tra alta e bassa intensità di lavoro o a seconda della stagionalità dei flussi.
Gigantismo navale, moltiplicazione dei nodi del trasporto e loro integrazione fluidificano la circolazione delle merci, ma l’imprevisto è sempre in agguato perché la «quasi» certezza sui tempi di arrivo di una nave si ha soltanto con un anticipo di 24 ore. Per evitare i colli di bottiglia e i costi delle inefficienze, le grandi compagnie marittime hanno messo in campo processi di forte concentrazione, in particolare nel mondo dei container dove le prime 15 compagnie controllano i due terzi della flotta e diversi terminal nei principali nodi di transito. Le privatizzazioni delle aree portuali garantiscono così maggiore flessibilità nelle attività di terraferma a fronte di un permanere di incertezza, sul fronte del mare, difficilmente eludibile. Nel 2006 su un campione di oltre un migliaio di navi il 43% era arrivato in ritardo, mentre al culmine del «super ciclo», nel 2007, i ritardi erano cronici, facendo vacillare l’intera programmazione delle operazioni e costringendo a continui aggiustamenti l’intera struttura logistica.
Poco prima della crisi economica la flotta commerciale mondiale era valutata in 1,3 trilioni di dollari e nonostante il settore marittimo sia al momento di dimensioni familiari, la tendenza è verso un mercato oligopolistico. Il ciclo dello shipping, come altri cicli produttivi, è sempre più connesso ai futures il cui valore nel 2008 superava del 10% il valore dei noli fisicamente disponibili. Ma anche in questo settore la crisi economica è stata pesante e l’abbassamento della domanda, cioè dei redditi disponibili per i consumi, ha ridotto i noli: ancora nel maggio del 2010 erano all’ancora, in attesa di ordini, ben 263 portacontainer per un totale del 4.1% della flotta mondiale in termini di capacità.
Visto in una prospettiva mondiale, il settore marittimo-portuale è, secondo l’autore, di fronte a drastici mutamenti che potrebbero portare a una nuova divisione internazionale del lavoro. C’è da sperare che il nuovo ciclo rechi alcune modificazioni nel lavoro e nell’attenzione verso gli aspetti riproduttivi perché il contributo all’inquinamento atmosferico delle navi è imponente: nei porti di grandi dimensioni la sosta contemporanea di cinquanta navi è paragonabile all’inquinamento prodotto da mezzo milione di auto ferme con il motore acceso per 24 ore. Il sistema marittimo-portuale riserverà ancora numerose sorprese nei prossimi anni, ma chi voglia comprenderne le dinamiche dovrà studiare questo volume che si pone come riferimento obbligato anche nei comparti contigui.

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