Kissinger gola profonda: “Felice del golpe in Cile”

Rivelazioni dell’ex segretario di Stato americano

Rivelazioni dell’ex segretario di Stato americano

Rappresenta un pezzo di storia del XX Secolo. Sicuramente buona parte di quella americana. Nato in Germania, figlio di ebrei sfuggiti al nazismo, è riuscito a influenzare la politica degli Stati Uniti tra gli anni Sessanta e i Settanta. Ancora se ne sente e parlare, nel male e nel bene. Henry Kissinger prima consigliere per la Sicurezza Nazionale, poi Segretario di Stato durante le presidenze di Nixon e Ford, è un uomo che ha preso decisioni. Ma non ha mai chiesto scusa per le conseguenze. E non lo fa neanche ora nella sua ultima intervista a Niall Ferguson, uno storico dell’Università di Harvard che lo incalza su quello che resta di un passato per molti ancora sconosciuto. Andata in onda sul canale del National Geography, nell’intervista il quasi novantenne Kissinger farà pensare a quanto era piccolo il mondo nelle mani di pochi uomini che facevano quello che volevano. Lui era uno di loro. Ora però può parlare senza troppi problemi di quello che è stato, il pianeta in fondo è cambiato, la Guerra Fredda non è più nelle agende degli Stati e la Russia non è più il nemico. Con la Cina si fanno affari e al Sud America è permesso di scegliere il governo che vuole. Certo non grazie a lui che sostenne l’operazione Condor, un piano della Cia per far cadere gli Stati filo russi e instaurare dittature militari. Il contributo dei servizi era di far sparire o uccidere dissidenti, politici, intellettuali che potessero essere di ostacolo. “Non ci dispiacque, a me e Nixon quando ci fu il golpe in Cile”, ammette Kissinger che sostenne il generale Pinochet, che strappò il potere ad Allende nell’11 settembre della Storia, quello del 1973, anno in cui Kissinger ottenne il premio Nobel per la Pace insieme al membro del parlamento nord vietnamita Le Duc Tho (che però non lo accetterà) per aver avviato i negoziati con il “peggior nemico” e che si concluse con la sconfitta americana e la fine di un sanguinoso conflitto. “Ero giunto alla conclusione che era impossibile vincere militarmente e quindi favorii i negoziati”. Ma aggiunge: “Sono pienamente convinto che il Vietnam del Sud non doveva cadere. La colpa è nostra”. Non era un uomo di pace, era uno capace di adattarsi alle situazione e sicuramente aveva una visione eccezionale di quello che era il mondo. “L’America non ha amici o nemici permanenti. Ha solo interessi”. La pace contava se portava stabilità all’America. Poco dopo sostenne il bombardamento segreto della Cambogia, 40 mila vittime tra nemici e civili, e neanche un senso di colpa.
“I NORD-VIETNAMITI avevano lanciato una serie di attacchi contro le nostre truppe, uccidendo in una sola settimana quattrocento soldati. Molte di queste aggressioni provenivano da basi che avevano costruito in territorio cambogiano. Tormentato dai dubbi, Nixon autorizzò l’attacco. Fu la decisione giusta da prendere e non me ne pento affatto, perché penso che Nixon avesse ragione”. Lui e Nixon con i loro rapporti amichevoli e intimi, tanto che fece imbufalire il presidente quando confidò che lui aveva chiamato Indira Gandhi “strega e mignotta” (si scusò poi per la rivelazione). Il Watergate, che portò alle dimissioni di Nixon: “Era riuscito a distruggersi da solo, con le proprie azioni. E lo sapeva bene. Prima di andare, mi chiese di inginocchiarmi e di pregare insieme. Data la solennità dell’occasione e il destino spietato, non ci trovai niente di strano. Che altro c’era da fare? È stato uno dei momenti più commoventi della mia vita”. Kissinger, Mao e i viaggi segreti in Cina, lui e Castro con la crisi cubana, lui e una politica che si sgretola sotto i suoi occhi, e dove cambiano le priorità e gli interessi. Ma Kissinger non ha mai lasciato la politica, la Casa Bianca, la sua voglia di influenzare o di essere parte degli eventi non si è assopita con il passare degli anni. “Il potere è il più potente degli afrodisiaci”. Potere che ha tremato quando ha incontrato Oriana Fallaci (1972), “Il peggior incontro con la stampa della mia vita”, ha detto Kissinger. Lui si definì “condottiero”, lei scrisse “cowboy” e la stampa americana che riprese l’intervista lo massacrò. Ogni controversia sembrava lo riguardasse, che avesse a che fare con l’Africa o con Israele. Ma infondo poi niente è cambiato, lui ha continuato a lavorare nelle retrovie della politica continuando a influenzare con la visione del suo mondo, anche ora appoggiando la ancora non annunciata candidatura alla presidenza del governatore del New Jersey, Chris Christie : “Non ci può essere una crisi la prossima settimana, la mia agenda è già piena”, disse il primo giugno del 1969. Ed era solo l’inizio.

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