«Siamo un bene comune»

TEATRO VALLE Ieri l’assemblea nazionale dei lavoratori «intermittenti» della conoscenza
Oggi l’illegalità  è di chi gestisce le risorse pubbliche o vigila sul rispetto delle regole

TEATRO VALLE Ieri l’assemblea nazionale dei lavoratori «intermittenti» della conoscenza
Oggi l’illegalità  è di chi gestisce le risorse pubbliche o vigila sul rispetto delle regole

 ROMA. La «dittatura della finanza» è l’ospite ingrato delle nostre vite. I tagli ai bilanci pubblici rafforzeranno la sua presa sulla cultura e sulla sanità, sulla formazione, come su tutte le altre sfere della convivenza e dell’economia reale. Per i lavoratori della conoscenza che ieri si sono dati appuntamento in assemblea al teatro Valle quello in atto da un trentennio è un gigantesco esproprio della ricchezza che ha sottratto al mondo del lavoro almeno 140 miliardi di euro (pari a tre finanziarie di Tremonti) immettendoli nello stomaco insaziabile della finanza.

I più colpiti sono i «lavoratori della conoscenza», cioè tutti coloro che come gli attori lavorano nell’industria dell’immateriale, della cura e della formazione, con la partita Iva o un contratto precario. Come per tutti coloro che non hanno un lavoro stabile, cioè oltre 6 milioni di persone, un terzo della forza lavoro attiva, anche queste persone versano i contributi nelle casse della gestione separata dell’Inps creando un attivo di 9 miliardi di euro all’anno. Adele Olivieri dell’associazione dei consulenti del terziario avanzato (Acta) ha ricordato che questa cifra non sarà usata per le loro pensioni, come di quelle delle giovani generazioni.
L’economista Andrea Baranes di Banca etica ha definito questo processo «una truffa», mentre Andrea Fumagalli, docente di Macroeconomia a Pavia, ha dimostrato che il problema non sarà mai affrontato da una manovra finanziaria «che non riequilibra il rapporto deficit/Pil, ma abbassa il deficit dando una stangata al Pil e danneggiando la crescita». Vessati dalle tasse e umiliati da condizioni di lavoro indecenti, i lavoratori non garantiti, senza contratto, non tutelati dai sindacati o dagli interessi delle corporazioni esprimono una «sfiducia totale nelle istituzioni perché ormai sappiamo che tutto quello che dicono non corrisponde mai al vero».
Il Valle è diventato il punto di riferimento per chi ha ormai maturato la sensazione che il confine tra legale e illegale è stato rovesciato. È qui che il discredito che sommerge la politica istituzionale ha rivelato un aspetto inatteso: oggi l’illegalità è di chi gestisce le risorse pubbliche o vigila sul rispetto delle regole. E come il Valle, anche il cinema Palazzo occupato nel quartiere San Lorenzo di Roma, e poi il teatro Marinoni sul Lido di Venezia, dimostrano che quando si afferma una legalità oltre ogni legge, come accade in Italia almeno dal 1992, è giusto «occuparci di ciò che è nostro». Dalla Sicilia a Milano, lo slogan del teatro Valle è stato variamente interpretato: «per noi significa occuparci della nostra terra, quindi della nostra vita», hanno detto gli attivisti del «No Ponte» di Messina. I «lavoratori dell’arte» di Milano lo considerano come un modo per moralizzare il sistema di gestione delle risorse pubbliche destinate alla cultura. Insomma, l’occupazione di un «bene comune» è diventata la pratica più immediata per esprimere il desiderio di una nuova civiltà.
Risolutivo è stato l’intervento del giurista Stefano Rodotà per il quale il teatro Valle è un «bene comune» come la nuova società che gestirà a Napoli l’acqua pubblica. «Oggi – ha detto – è possibile essere gestori, controllori e produttori di un bene come di un’istituzione». Ragionamento raffinato, e assai diffuso nei movimenti di base, che però sfugge al ministro dei Beni Culturali Galan, che in un confronto con gli occupanti del Valle ha sollecitato il comune di Roma ad aprire un tavolo sul destino del teatro. E sfugge all’assessore capitolino alla cultura Gasperini, che in realtà ha provato a discutere con gli occupanti, partendo però con il piede sbagliato: «impediscono di far partire la nuova stagione e vogliono gestire il teatro in proprio».
Gli artisti del Valle non si sono mai proposti come un ensemble artistico, ma come lavoratori che chiedono la trasformazione del teatro in una fondazione che contempli un suo uso democratico insieme agli interessi delle professionalità e le culture diffuse che hanno trovato una convergenza nell’occupazione. Il nuovo statuto del teatro sarà presentato il 20 ottobre, nel frattempo gli intermittenti consolideranno un coordinamento delle loro reti. Si annunciano nuove iniziative.

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