Guido Picelli, Che Guevara italiano nell’oblio

Con 400 Arditi del popolo mise in fuga le camicie nere di Balbo
La vita e la passione politica dell’eroe delle barricate di Parma rivive nell’appassionato documentario di Giancarlo Bocchi: «Il ribelle».
Il film lascia intendere che la sua morte sul fronte spagnolo sia dovuta agli stalinisti…

Con 400 Arditi del popolo mise in fuga le camicie nere di Balbo
La vita e la passione politica dell’eroe delle barricate di Parma rivive nell’appassionato documentario di Giancarlo Bocchi: «Il ribelle».
Il film lascia intendere che la sua morte sul fronte spagnolo sia dovuta agli stalinisti…


Un’immagine tra tante per ricordare un grande rimosso della storia del nostro antifascismo. La bandiera rossa alzata sul pennone di Montecitorio il primo maggio 1924, proprio all’indomani della soppressione della festa dei lavoratori da parte di Mussolini e un mese prima dell’omicidio di Matteotti. Un gesto simbolico e dirompente che dice tanto di Guido Picelli, eroico comandante delle barricate di Parma, inventore della guerriglia urbana, deputato comunista indipendente, nato nel 1889 e morto sul fronte spagnolo nel ‘37, colpito al cuore da un proiettile sparatogli alle spalle, in circostanze ancora oggi non chiarite. È proprio in quella morte, infatti, che si spiega tutto il «rimosso» messo in atto nei confronti di questo Che Guevara italiano, «ardito del popolo», politico scomodo, votato da sempre alla «causa del proletariato», come si diceva allora, che pagò con la vita il suo idealismo libertario e lungimirante che lo portò rapidamente in rotta di collisione con lo stalinismo. Partì da Mosca l’ordine di eliminarlo, alla vigila di una nuova vittoria sul fronte di Madrid del Battaglione Garibaldi che Picelli comandava?
Ne è sicuro Giancarlo Bocchi, regista parmense che alla figura del comandante ha dedicato quasi quattro anni di ricerche negli archivi di mezzo mondo (dalla Russia agli Usa), scoprendo nuovi documenti e prezioso materiale di repertorio, diventati materia prima per un film: Il ribelle, un appassionato documentario che è appena arrivato nelle sale (prima uscita al cinema Rosebud di Reggio Emilia), grazie alla distribuzione autarchica della bolognese Vitagraph che lo porterà in viaggio per una decina di città italiane. Parma esclusa. Così ha deciso il regista per protesta contro l’amministrazione di centro destra della città natale di Picelli.
Attraverso le parole dello stesso comandante, pronunciate da Francesco Pannofino, e il raccordo narrativo «letto» da Valerio Mastandrea, Il ribelle è davvero un’avvincente cavalcata nell’avventura umana e politica di un grande protagonista della storia italiana ed europea del secolo scorso. A cominciare dalle lotte sociali e il grande sciopero del 1908, per passare al Primo conflitto mondiale al quale, Picelli da non interventista, partecipa al seguito della Croce rossa. Splendidi i filmati tra le trincee tra cui uno spezzone inedito su Caporetto. Le «scoperte» si susseguono. Come l’esperienza d’attore vissuta dal giovanissimo Picelli che lascia Parma per Torino scegliendo la strada del cinema, appena nato. Eccolo al fianco del grande Ermete Zacconi in un film muto.
Ma il drammatico scenario politico lo riporta in breve nella sua città. Siamo nel ‘22 alla vigilia della Marcia su Roma. Picelli alla testa di 400 Arditi del Popolo, tra cui comunisti, cattolici, socialisti e anarchici, riesce a mettere in fuga i diecimila fascisti di Italo Balbo, durante i cinque giorni della Battaglia di Parma.
Quella storica le cui immagini hanno affiancato per anni la testata del quotidiano Lotta Continua. «È la dimostrazione dice il comandante che il fascismo si sarebbe potuto fermare». Proprio grazie all’idea di quel «Fronte popolare» che Picelli sostiene con lungimiranza, molti anni prima del Comintern.
Stimato da Gramsci e responsabile per il Pci della creazione di una struttura insurrezionale contro il fascismo, Picelli sfugge ad agguati ed attentati delle camicie nere, quando nel ‘26 è arrestato insieme ai maggiori esponenti dell’antifascismo. Gramsci compreso. Per il comandante sono cinque anni di confino e carcere. Negli anni Trenta viaggia tra la Francia e il Belgio, proseguendo la sua attività rivoluzionaria, soprattutto tra i lavoratori italiani emigrati. È nel ‘32 che approda in Urss ed è questo il momento della sua totale disillusione. Relegato in fabbrica a fare l’operaio Guido Picelli è completamente emarginato dall’attività politica. Inutili le sue lettere al compagno Ercoli (Togliatti). La risposta è sempre «niet». Anzi, in pieno periodo di «purghe» Picelli è processato in fabbrica e rischia il gulag. Il suo ardore da combattente, però, non viene piegato: riesce a lasciare l’Urss, approdare di nuovo a Parigi dove prende contatti col Poum, il partito comunista spagnolo, trozkista e antistalinista di Andrés Nin. La guerra di Spagna, dunque è l’occasione per tornare a combattere il fascismo. Al comando del Battaglione Garibaldi delle Brigate internazionali Picelli ottiene la prima vittoria repubblicana sul fronte di Madrid.
Gli emissari di Stalin, però, continuano a tenerlo sotto controllo. E lui lo sa bene. Fino a quel 5 gennaio del ‘37 quando il colpo sparatogli alle spalle lo colpisce al cuore. La ricostruzione fornita da Il ribelle suggerisce che sia stata un’esecuzione ordinata da Mosca. Fatto sta che il corpo di Picelli resta lì per un giorno. E le tesi ufficiali sulla sua morte si avvicendano, lacunose, nel tempo. Prima una raffica di mitragliatrice, poi il colpo di un «cecchino fascista». A dare l’ultimo colpo di spugna alla memoria del comandante è il divieto di Mosca di concedergli la medaglia dell’Ordine di Lenin, la massima onorificenza sovietica.

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