1961 – 2010. C’è stato un tempo in cui le bandiere della pace sventolavano dai balconi di mezza Italia. Era il tempo in cui molti speravano di impedire la guerra in Iraq. Poi quelle bandiere si sono scolorite, strappate e, una dopo l’altra, sono state rimosse.
1961 – 2010. C’è stato un tempo in cui le bandiere della pace sventolavano dai balconi di mezza Italia. Era il tempo in cui molti speravano di impedire la guerra in Iraq. Poi quelle bandiere si sono scolorite, strappate e, una dopo l’altra, sono state rimosse. Poi è venuto il tempo amaro della rabbia, quello triste della rassegnazione. L’impegno per la pace è stato rimosso dalla politica, dall’informazione e persino dall’agenda di tanti gruppi e organizzazioni. Succede così che (pre)occuparsi di quello che succede in Libia e in Afghanistan, a Gerusalemme e in Sudan, in Siria e in Iran, dei morti per fame e per ignavia, di quelli che finiscono i loro giorni soffocati dalla sabbia del deserto o dall’acqua salata del Mediterraneo è tornato ad essere un affare di pochi, ignorati, spesso ostacolati. In questa Italia degradata il mondo non esiste più. C’è rimasto solo l’ombelico, il mio, il vostro, il nostro, quello attorno cui ruota ormai tutto. Anche l’impegno civile di molti.
Come faremo a trovare la via d’uscita dal degrado in cui siamo precipitati se non rialziamo lo sguardo? Guardiamo a quello che sta succedendo nel nostro giardino di casa, il Mediterraneo, dove affondano le nostre radici. Dall’inizio dell’anno tutto sta cambiando, le tensioni crescono, si aprono nuovi spazi, e noi semplicemente non ci siamo. Ci vorrebbe una visione, un progetto, una politica, delle risorse. L’Italia non c’è, e quando c’è fa le scelte più sbagliate, per la Libia come per la pace in Medio Oriente. Contro questa politica disastrosa si muove oggi la Marcia da Perugia ad Assisi. Una marcia all’insegna della memoria, quella dell’altra Italia che si è battuta contro la guerra, la corsa al riarmo, il colonialismo, la globalizzazione selvaggia, lo sfruttamento, le dittature, il terrorismo, il razzismo, la violazione dei diritti umani. Rialzare lo sguardo e volgerlo indietro, ai 50 anni di quest’impegno, ci aiuta a capire l’oggi. L’Italia che vogliamo costruire resta scritta nella Costituzione: ripudia la guerra, lotta contro la povertà e le disuguaglianze, taglia le spese militari, investe sull’educazione e sulla cultura, rispetta i diritti umani, si prende cura dei beni comuni.
Il 24 settembre del 1961, alle 8 del mattino, la Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli prende il via dai Giardini del Frontone di Perugia. Nel pomeriggio alla Rocca di Assisi si conclude con gli interventi di uno studente giapponese, di Arturo Carlo Jemolo, Guido Piovene, Renato Guttuso e Ernesto Rossi. Per Aldo Capitini «la pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti». Tra gli obiettivi da perseguire il superamento dell’imperialismo, del razzismo, del colonialismo e dello sfruttamento, rafforzamento delle Nazioni unite, disarmo totale controllato, cessazione degli esperimenti nucleari, diversa impostazione dei bilanci statali, sviluppo della vita democratica dal basso, stretta alleanza di tutte le forze pacifiste per un’azione unitaria.
Ci vollero 17 anni per ripetere la marcia, nel decimo anniversario della morte di Aldo Capitini. Il 24 settembre 1978 quindicimila persone rispondono all’invito della Fondazione Aldo Capitini e del Movimento Nonviolento: «Mille idee contro la guerra». Lo sguardo è rivolto allo scontro Est-Ovest, all’invasione israeliana del Libano, alle feroci repressioni in Iran, Cile, Nicaragua e Argentina.
Il 27 settembre 1981 la terza marcia Perugia-Assisi «Contro la guerra: a ognuno di fare qualcosa» segna l’avvio della grande mobilitazione per la pace degli anni ’80 contro l’installazione degli euromissili Pershing e Cruise (Usa) e Ss20 (sovietici). All’appello del Comitato umbro per la pace rispondono in cinquantamila. Il leader dell’Urss Leonid Breznev scrive che «siamo disponibili a ridurre i nostri missili in Europa se la Nato rinuncerà ad installare i suoi». «È importante – commenta a caldo Norberto Bobbio – che ci sia un’opinione pubblica che manifesta le sue angosce, i suoi timori, la sua volontà. Io penso che si tratti di un movimento serio, che va preso sul serio perché parla di cose serie».
Nel 1984 la Marcia non c’è, ma a Perugia dal 17 al 20 luglio si incontrano 1200 pacifisti di tutta Europa alla terza Convenzione europea per il disarmo nucleare. Ci sono Edward P. Thompson, Mary Kaldor, Johan Galtung, Sylvie Mantrant, israeliani e palestinesi, dissidenti dell’est come Jan Kavan e Roland Jahn, e, sul fronte opposto, il segretario del Consiglio per la pace dell’Urss Lokshin e altri esponenti legati ai regimi dell’est. È il primo incontro di massa che avvia una rete di contatti dal basso, apre le prime crepe nelle posizioni ufficiali dell’est.
La quarta marcia si tiene con 40 mila persone il 6 ottobre 1985. Il Presidente Sandro Pertini all’inizio dell’anno aveva esortato: «Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai». Si chiede di fermare il bilancio militare, appena aumentato del 20%. Da Mosca Mikhail Gorbaciov appena nominato segretario del Pcus proclama la sospensione unilaterale dei test nucleari e scrive: «Il movimento per la pace può esercitare un peso importante nella decisione delle sorti dell’umanità, cioè se ci sarà la pace oppure una guerra sterminatrice».
Nel 1988 l’iniziativa parte dalla neonata Associazione per la pace, Acli, Arci, dalla Regione Umbria e dal Coordinamento Umbro degli Enti Locali Denuclearizzati, e il 2 ottobre 1988 rispondono in 50 mila. Gli euromissili sono stati archiviati sei mesi prima con l’accordo Inf reso possibile dal nuovo corso di Gorbaciov: un successo (tardivo) dell’agenda pacifista.
Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino, e con esso la minaccia di guerra in Europa. La Perugia-Assisi si trasferisce nel cuore del conflitto in Medio Oriente, a Gerusalemme. Il 31 dicembre 1989 una catena umana di trentamila persone si forma attorno alle mura di Gerusalemme. Per la prima volta palestinesi e israeliani si stringono la mano.
Associazione per la pace, Acli e Arci propongono di organizzare il 7 ottobre 1990 una nuova Marcia Perugia-Assisi ma la prima crisi del «dopo guerra fredda» è già in arrivo: nell’agosto Saddam Hussein invade il Kuwait, il Consiglio di sicurezza dell’Onu impone il ritiro, inizia l’intervento militare americano e il coinvolgimento dell’Italia. La Perugia-Assisi diventa la prima manifestazione europea contro la guerra del Golfo. Sfidano la pioggia centomila persone.
Il 1 novembre 1992 la Perugia-Assisi si occupa di legalità: «Liberi dalla mafia, dalla corruzione, dalla violenza». Quindicimila persone dicono basta a mafie, malaffare e tangentopoli. Ad accogliere i partecipanti c’è il presidente della Camera Giorgio Napolitano.
«Guerra nell’ex Jugoslavia: fermiamola!» è lo slogan dell’ottava Marcia, il 26 settembre 1993. Dopo due anni di scontri, 30 mila persone chiedono interventi di pace e soluzione diplomatica dei conflitti. Ad Assisi Nemer Hammad dell’Olp e Judith Hariel di Peace Now festeggiano con un ramoscello di ulivo gli accordi di pace appena firmati tra Israele e palestinesi.
Nel 1995 le Nazioni Unite compiono 50 anni e il 24 settembre 80 mila persone sfilano dietro l’annuncio: «Noi popoli delle Nazioni Unite». Per la prima volta il Tg3 segue in diretta una parte della Marcia. All’inizio del 1996 nasce la Tavola della pace che organizzerà le edizioni successive.
«L’economia uccide più delle bombe» recita l’appello del 12 ottobre 1997. Il terremoto che il 26 settembre colpisce l’Umbria rende necessaria una partecipazione ridotta alla marcia. L’intervento militare in Kosovo della Nato e dell’Italia porta a un’edizione straordinaria della Marcia il 16 maggio 1999 con 60 mila persone. Si chiede a Milosevic di fermare la pulizia etnica, al governo italiano e alla Nato di smettere di bombardare. Il 26 settembre 1999 si tiene la Marcia con 50 mila persone. Lo slogan anticipa lo spirito del tempo: «Un altro mondo è possibile. Costruiamolo insieme». Diventerà quello dei Forum Sociali Mondiali. Due mesi dopo, con la protesta contro il Wto a Seattle, nasce il movimento contro la globalizzazione liberista.
La più grande di tutte le marce Perugia-Assisi si svolge il 14 ottobre 2001, venticinque chilometri di persone. Allo slogan «Cibo, acqua e lavoro per tutti» si aggiunge il no al terrorismo e alla guerra. È passato un mese dagli attacchi dell’11 settembre e una settimana dall’attacco americano in Afghanistan.
Nel 2002 i carri armati israeliani sono in tutte le città palestinesi. Il sangue scorre in Palestina come non si vedeva da tempo. La Marcia «Per la pace in Medio Oriente. Contro la guerra infinita» si apre il 12 maggio mentre a Tel Aviv si chiude la più grande manifestazione del pacifismo israeliano contro la politica di Sharon.
Il 2003 è l’anno della guerra Usa in Iraq, delle bandiere arcobaleno alle finestre, delle manifestazioni mondiali del 15 febbraio, a Roma sono tre milioni. La Marcia del 12 ottobre del 2003 chiede di prendere le distanze dagli Usa di Bush. A marciare sono 300 mila, la Perugia-Assisi è diventata un appuntamento regolare per migliaia di famiglie e gruppi locali, fuori dalle organizzazioni.
L’11 settembre 2005, alla vigilia di un vertice dei Capi di stato di tutto il mondo all’Onu, la Marcia di 200 mila persone chiede: «Mettiamo al bando la miseria e la guerra! Riprendiamoci l’Onu». Sul fronte italiano il protagonista è Romano Prodi, leader del centro-sinistra, che partecipa a un confronto con l’Assemblea dell’Onu dei Popoli sul programma per le elezioni che lo vedranno vincitore: promette il ritiro italiano dall’Iraq, difende la globalizzazione.
«Tutti i diritti umani per tutti» è lo slogan del 7 ottobre 2007, con 200 mila persone. Nel 2009 si cambia. C’è stata l’invasione israeliana di Gaza, e la Tavola della pace organizza una «Perugia-Assisi a Gerusalemme» dal 10 al 17 ottobre 2009. Poi, il 16 maggio 2010, 100 mila persone a una marcia nuova. Si punta sulle scuole, sui 5000 giovani che hanno partecipato al Forum della pace dei giorni precedenti. E si firma per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua.
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