ANTICIPAZIONI Un brano da «Del viver bene», ultimo libro per Jaca Book del filosofo ospite oggi del Festival di Modena
La società o le comunità sono artefici che hanno come unico scopo il massimo del profitto dei partecipanti all’azione di scambio
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La società o le comunità sono artefici che hanno come unico scopo il massimo del profitto dei partecipanti all’azione di scambio
Il liberismo, cioè la teoria dello stato liberale e della democrazia parlamentare, di cui Locke fu padre e fondatore, e il liberismo, ovvero la teoria economica del capitalismo, hanno sempre più manifestato e ribadito la tendenza a interpretarsi come la teoria scientifica della storia economica dell’umanità. Vi è qui una perfetta congruenza fra i tre fattori che costituiscono ciò che si suole chiamare il «moderno»: la scienza matematica della natura intesa come la realizzazione dello stato politico più libero e più giusto; il liberismo come la teoria economica definitiva. Non una teoria nata in una fase determinata dell’economia borghese e perciò rispecchiante la sua particolarità storica, antropologica e psicologica, ma la rivelazione finale del segreto iscritto nella vita sociale degli umani.
Alla base della vita sociale il liberismo pone lo «scambio». Esso è l’azione umana per eccellenza, azione ignota agli animali. Ludwig von Mises lo definì così: «Il tentativo di sostituire uno stato di cose più soddisfacente a uno meno soddisfacente». Ecco la molla dell’azione individuale rivolta allo scambio. Ne deriva che la libertà individuale di autodeterminazione e di scelta è lo stato di cose «politico» preferibile in assoluto: ma questo è appunto il fine del liberismo politico e della democrazia. Analogamente, la libertà privata di scambio al fine di aumentare e diffondere il benessere e la ricchezza è il fine del liberismo economico e della economia di mercato. Democrazia e globalismo del mercato: ecco i due grandi temi che, soprattutto oggi, dominano il dibattito mondiale e il suo destino. Per il pensiero liberale e liberista democrazia e globalismo del mercato mondiale sono sostanzialmente il fine e il culmine della storia dell’umanità. Proprio per ciò la storia, come da più parti è stato notato, nel nostro tempo si eclissa, risolvendosi completamente nell’amministrazione burocratica dello stato mondiale presente e soprattutto futuro e nel continuo progresso economico e tecnologico della specie: un progresso unilineare, unilaterale e senza più eventi e spessori «dialettici».
Questo il quadro generale. Ma vediamo ora più da vicino lo scambio. Si ha scambio quando due soggetti operano una transazione volontaria, perché ritengono, per loro insindacabili ragioni, di trarne profitto. Un profitto che si potrebbe chiamare «soggettivo»: sono personalmente felice di aver scambiato questa cosa con un’altra, che mi serviva di più e che desideravo. La sostanza è dunque che entrambi i transattori sono contenti: entrambi ritengono di aver conseguito un vantaggio, cioè una situazione preferibile. (…).
Questo individualismo è una sorta di presupposto «ontologico» che il liberismo trae dalla filosofia empiristica, per la quale l’individuo è la sola realtà concreta, mentre tutti gli universali sono astrazioni della mente e costruzioni logiche. Invero non sarebbe difficile mostrare come questo empirismo filosofico sia in larga misura una conseguenza ideologica della rivoluzione borghese e del suo individualismo politico, affermatosi in Inghilterra ben prima che in Francia. Per il liberismo l’individualismo ontologico è però un dogma indiscutibile, dal quale discende un individualismo metodologico: la comunità, la collettività, è da intendersi come il diretto risultato delle azioni degli individui. Ovvero: poiché l’azione si mostra negli individui, allora è in essi che ha anche la sua causa.
L’individualismo ontologico porta necessariamente con sé un egoismo etico e un relativismo dei valori. In altri termini: nello scambio ognuno è libero di cercare il suo profitto; esso dipende da come ogni individuo «sente» il mondo, dalle scale di valori che valgono per lui e così via. Non ha quindi senso cercar di calcolare un profitto «oggettivo» che tenga conto di scopi «altruistici», dal momento che ognuno sente e valuta a modo suo. (…).
Il relativismo etico ne discende inevitabilmente. Anche i valori devono essere «liberalizzati» e «pluralisti». Se è reale solo l’individuo empirico e sensibile, arriviamo fatalmente alla conclusione di Protagora, non a caso il padre della democrazia antica: di ogni cosa è misura il singolo uomo. La misura dice ciò che vale per lui e non c’è altro principio che possa sostituirsi a essa. Tutt’al più possiamo cercar di educare i cittadini, convincendoli a calcolare con saggezza l’utile comune a partire dal proprio; impareranno così a frenare, per il loro bene, le pretese eccessive: esse sarebbero alla lunga nocive all’utile proprio. L’utile comune non è però più «vero» di quello soggettivo: è solo più efficiente e perciò, diceva Protagora, «preferibile».
Il passo successivo (…) è che l’incremento della iniziativa individuale comporta la sempre più accentuata divisione del lavoro. Non è utile fare tutti la stessa cosa. Bisogna invece chiedersi e cercar di immaginare che cosa è utile agli altri e farlo nel modo migliore per trarne un utile proprio, cioè un guadagno. E’ la grande scoperta che è alla base del lavoro industriale parcellizzato, al posto del lavoro artigiano, scoperta descritta e teorizzata da Adam Smith. (…)
Questa rivoluzione straordinaria pone nondimeno notevoli problemi. Col suo estendersi e complicarsi, solleva anzitutto la questione della calcolabilità di un valore condiviso delle merci. Che la valutazione ne sia soggettiva resta un fatto, ma se superiamo il limite del baratto primitivo, dove ognuno è in diretto rapporto con gli altri nelle transazioni di mercato, come è possibile sapere cosa sarà desiderato, dove e quando lo sarà, e soprattutto quanto sarà valutato?
Ecco che l’individualismo comporta di necessità una convenzione sovraindividuale. La società stessa è una convenzione, diceva Mandeville. Solo una convenzione condivisa può regolare uno scambio che dal baratto «visibile» conduca a una estensione «ultrasensibile», cioè «invisibile», del valore scambiato: qualcosa che i soggetti decidono di accettare per regolare le loro azioni di scambio. Questo è il problema del meccanismo dei prezzi, fondamento della logica del «valore di mercato», problema sul quale si è impegnata tutta l’economia classica, da Smith a Ricardo a Marx e oltre.
I pregi che derivano dal meccanismo dei prezzi sono fondamentalmente i seguenti. Anzitutto esso traduce la qualità soggettiva del valore delle merci in quantità intersoggettiva, cioè misurabile e confrontabile: si tratta della quantificazione che è resa possibile dal denaro. In secondo luogo il meccanismo che funziona da sé, senza bisogno di azioni direttive e di interventi dall’alto. (…) In terzo luogo il meccanismo dei prezzi fornisce a tutti gli operatori le informazioni necessarie a orientare le loro scelte economiche, sia produttive sia di mercato. (…) Essere informati sulla situazione dei mercati e dei loro «dintorni» è infatti sempre più essenziale e decisivo. Ma non va neppure dimenticato che questo è poi il principio stesso del funzionamento democratico in politica, dove è diventato fattore primario poter fruire del dominio della informazione per ottenere il consenso dei cittadini, assimilati in sostanza ai consumatori.
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