ONU PER TUTTI

50 anni fa scompariva in circostanze dubbie Dag Hammarskjà¶ld, segretario delle Nazioni unite alle prese con la guerra civile in Congo. Credeva nel «sogno dell’umanità », ma era inviso alle grandi potenze

50 anni fa scompariva in circostanze dubbie Dag Hammarskjà¶ld, segretario delle Nazioni unite alle prese con la guerra civile in Congo. Credeva nel «sogno dell’umanità », ma era inviso alle grandi potenze

Nella notte tra il17 ed il 18 settembre del 1961 fa moriva, in un incidente aereo, Dag Hammarskjöld, l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, e con lui le speranze di fare dell’Onu il governo condiviso del mondo. Quella notte il suo aereo sparì dai radar sui cieli di Ndola, nell’attuale Zambia, mentre era in volo per la Repubblica del Congo ex belga, dove era in corso una guerra civile in cui le Nazioni Unite erano state chiamate ad intervenire, per la prima volta nella storia africana, a sostegno di un governo nazionale democraticamente eletto. Le operazioni di soccorso tardarono dodici ore, nel frattempo la scatola nera dell’aereo era «andata smarrita» e i tracciati di tutti i radar della zona cancellati misteriosamente. Ancora non sappiamo, e forse mai sapremo, cosa causò la caduta. Qualche mese prima, il quotidiano inglese Sunday Telegraph aveva pubblicato una vignetta in cui Charles de Gaulle e Nikita Kruscev si fronteggiavano, ciascuno su un carro armato. Tutti e due portavano un distintivo con la scritta: «Non mi piace Dag!», e sotto la caricatura si leggeva la frase: «Chi si crede di essere questo, un uomo del destino?». Il presidente Kennedy tenne una commemorazione che suonò come un appello alla pace universale ed una perorazione in favore delle Nazioni Unite e del loro futuro: «Dag Hammarskjöld è morto, ma le Nazioni unite vivono; il problema non è la morte di un singolo uomo, il problema è la sopravvivenza di quest’organizzazione. Essa o crescerà per padroneggiare le sfide del nostro tempo, o sarà dispersa dal vento, senza più incidenza, senza forza, senza rispetto. L’umanità deve farla finita con la guerra, o la guerra preparerà una fine all’umanità. Perciò uniamoci nell’affermare che Dag Hammarskjöld non è vissuto invano e non è morto invano». Quello stesso anno gli verrà attribuito il Premio Nobel per la Pace alla memoria, «in segno di gratitudine per tutto quello che ha fatto, per quello che ha ottenuto, per l’ideale per il quale ha combattuto: creare pace e magnanimità tra le nazioni e gli uomini».
Ma perché Dag Hammarskjöld venne ucciso, insieme agli uomini del suo equipaggio aereo? O, anche se così non fosse, a chi giovava comunque la sua morte, quale era la posta in gioco?
Per capirlo dobbiamo tornare alla storia di quegli anni e, segnatamente, al lungo periodo della decolonizzazione, iniziata con l’indipendenza del Ghana di Kwame Nkruma nel 1957. Nel 1960 tocca al Congo, uno dei paesi del continente più ricchi di risorse, secondo solo al Sud Africa; basti pensare che il materiale radioattivo per le bombe di Hiroshima e Nagasaki veniva dalle sue miniere. La natura del governo che si sarebbe installato nel Paese avrebbe dunque influenzato i processi d’indipendenza, e post-indipendenza, nei paesi limitrofi quali il Congo francese, il Rwanda, il Burundi e lo Zambia. Per questo, quando Patrice Lumumba, fondatore del Mouvement national congolaise, ottiene la maggioranza nelle elezioni del 1960 e viene nominato Primo Ministro, il Belgio, la Francia e anche gli Usa non ne furono affatto contenti. Lumumba, infatti, era prima di tutto un nazionalista che poneva l’accento sulla necessità dell’unità dello Stato-nazione, e su un’idea di liberazione che significava molto di più della fine del colonialismo: doveva essere un processo di emancipazione dalla subalternità culturale e dal senso d’inferiorità ereditata dai popoli africani col dominio coloniale. Questa posizione, simile a quella dell’intellettuale antillano Frantz Fanon, confinava pericolosamente con le idee socialiste, e dunque le potenze occidentali paventavano un avvicinamento del Congo all’Unione Sovietica, eventualità da scongiurare assolutamente, anche scatenando una guerra civile.
E così avvenne: prima rompendo l’equilibrio tra Lumumba ed il Presidente Kasavubu, vicino ai belgi, poi fomentando la secessione del Katanga, la regione mineraria del sud. L’esodo degli europei che segui i primi disordini, poi la secessione del Katanga, nel luglio del 1960, furono tutti eventi funzionali ad eliminare l’unico partito nazionalista e il suo leader, Lumumba, che verrà in seguito ucciso, il 17 gennaio 1961, per ordine del colonnello Mobutu, uomo di fiducia dei belgi e degli statunitensi, e che in seguito prenderà il potere per non lasciarlo che alla morte, quasi quarant’anni dopo. Con la motivazione dei disordini, il governo belga inviò le proprie truppe per proteggere i connazionali che rientravano in Europa, proprio mentre Lumumba si rivolgeva invece all’Onu per chiedere la protezione internazionale. Alla guida delle Nazioni Unite si trovava all’epoca Dag Hammarskjöld, segretario dell’Onu dal 1953, il quale si era già segnalato per essersi opposto nel 1956 all’invasione franco inglese di Suez, suscitando le proteste di Londra e Parigi. Quando dunque nel 1961 scoppia la guerra civile in Congo, non solo condanna pubblicamente ciò che accade ma, il 17 settembre del 1961, decide di dirigere personalmente sul campo le operazione dei Caschi Blu. Hammarskjöld si era reso conto del valore politico del processo democratico in Congo e del ruolo che l’Onu avrebbe potuto ricoprire nella gestione della crisi. Ma se il suo tentativo fosse riuscito, avrebbe probabilmente segnato una svolta fondamentale all’interno della Guerra Fredda, introducendo un terzo che non era dato. Meglio ucciderlo, e con lui la democrazia nel Congo e il sogno di Nazioni veramente Unite.

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L’UOMO DEL PEACE KEEPING

Dag Hammarskjöld nasce nel 1905 in Svezia. Dopo gli studi di economia e giurisprudenza ricopre diversi incarichi di governo ed è ministro degli Esteri alla fine degli anni ’40; nel 1953 viene eletto Segretario Generale dell’Onu. Nell’arco di circa due mandati si occupa delle crisi più importanti del suo tempo. Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria e la crisi di Suez, avvenimenti che egli critica duramente, crea la prima forza armata di peace keeping dell’Onu, istituzione che egli descriveva come il «sogno dell’umanità». Per le sue posizioni era inviso alle potenze con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza, con le quali aveva avuto frequenti diverbi.

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CHI AVEVA PAURA DI PATRICE LUMUMBA?

 Il Belgio concede l’indipendenza al Congo il 30 giugno 1960. Patrice Lumumba, segretario del Movimento Nazionale Congolese, diviene Primo Ministro. Per il timore che porti il Congo in campo sovietico l’Occidente fomenta una guerra civile, sostenendo le spinte autonomistiche nel bacino minerario del Katanga, represse nel sangue dal governo indipendentista. A seguito dei disordini il governo belga inviò le proprie truppe per proteggere i connazionali che rientravano proprio mentre Lumumba si rivolgeva all’Onu; l’ingovernabilità del Congo fece sì che l’esercito prendesse il sopravvento. Il colonnello Mobutu fece arrestare e condannare a morte Lumumba, giustiziato nel gennaio 1961. Il Segretario dell’Onu Dag Hammarskjöld cercò di governare il conflitto con i Caschi Blu ma rimase vittima di un attentato mentre era in volo per la capitale del Congo. Mobutu restituì il potere a Kasavubu che costituì un governo di unità nazionale con Moise Ciombe, uno dei leader del Katanga. Ma i contrasti tra i due portarono il paese sull’orlo di una nuova guerra civile. L’amministrazione Johnson si rivolse ancora a Mobutu, che il 25 novembre del 1965 spodestò Kasavubu.

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