L’estate su un’isola, la natura, i pescatori, le ragazzine. Racconto di un’iniziazione al sesso e alle crudeltà della vita
L’estate su un’isola, la natura, i pescatori, le ragazzine. Racconto di un’iniziazione al sesso e alle crudeltà della vita
Quando esordì nel 1989, Erri De Luca lasciò un segno profondo. Da allora i suoi libri si sono succeduti con regolarità e frequenza, accanto a varie traduzioni dall´ebraico e a un´assidua presenza sulla stampa come opinionista. Nel corso degli anni, la sua fedeltà a un ristretto numero di argomenti non è venuta mai meno, prova di una particolare adesione a quel genere che, sin dal 1977, Serge Doubrovsky definì col nome di autofiction. De Luca, infatti, parla quasi esclusivamente della propria vita, attraverso episodi che finiscono per comporre una ampia “variazione sul tema” autobiografico. A ribadire il valore di tale scelta, sta il fatto che i rari abbandoni di un simile percorso hanno coinciso con le sue prove meno convincenti. Di lui si può dire davvero quel che, via Proust, affermò Alberto Moravia: «Gli scrittori sono come gli uccelli. Ripetono lo stesso verso».
Pochi e abbastanza eterocliti, sebbene assai decisi, sono gli elementi del suo repertorio narrativo: l´infanzia scapigliata in una Napoli appena uscita dal Dopoguerra, le favolose vacanze in un´isola vicina (ma meglio sarebbe dire nel mare che la circonda), una famiglia colta e altoborghese divisa fra l´Italia e gli Stati Uniti, la dura battaglia politica nelle file di Lotta Continua, la pratica di mestieri umili e faticosi (dall´operaio al muratore), l´amore per le scalate (intese quale ulteriore messa alla prova della resistenza fisica), la militanza come autista di convogli umanitari durante la guerra in Bosnia, infine la scoperta degli studi biblici. La dedizione a questo variegato ventaglio di esperienze, spiega la nascita di un vero e proprio personaggio mediatico, il quale, parallelamente alla figura dell´autore, va saggiando da tempo nuove soluzioni espressive, sul genere di performances teatrali in forma di recital o concerti. Di conseguenza, come pochissimi altri scrittori della sua generazione, De Luca ha accesso a un numero di lettori-spettatori molto ampio, ed è arrivato a trasformare la sua immagine di letterato in quella di un autentico maître à penser.
Eppure, eccoci al punto, tutto proviene da un´unica radice: la sua personalissima scrittura. In una prosa aspra ma costantemente sorvegliata (che i detrattori hanno ascritto alla “prosa d´arte” tout court), i suoi romanzi e racconti affrontano soggetti assoluti, in un serrato corpo a corpo con le forze elementari della vita. Dolore, amore, amicizia, rispetto, tradimento: forse il segreto di De Luca risiede proprio nel violento contrasto fra l´altezza simbolica della trattazione, e l´estrema matericità del linguaggio impiegato. Da questo punto di vista non sorprende il suo passaggio, qualche anno fa, alla poesia. Attentamente trapunto di indicazioni metriche, il tessuto della sua stessa prosa appare sempre ritmato dall´interno. Da qui il pregio, e insieme il rischio, della sua sfida: il pregio di una parola pudica e oracolare, il rischio di un dettato apodittico fino all´enfasi (sia pure una paradossale enfasi del silenzio e dello stoicismo).
Questa lunga premessa ci introduce a un testo come I pesci non chiudono gli occhi (Feltrinelli, pagg. 115, euro 12). Il narratore vi rievoca un´estate della sua infanzia in cui, appena decenne, scoprì nell´oltraggio maschile e nelle percosse, una segreta, sofferta, necessaria iniziazione alla bellezza femminile. Sin dalle battute iniziali, le settimane di una vacanza trascorsa su un´isola si oppongono ai giorni cittadini come il mare alla terra. Lo spiega bene un anziano del luogo: «Sciacqua le mani a mare prima che metti il morso all´esca. Il pesce sente odore, scansa il boccone che viene da terra». Vicino all´amata figura materna, separato dai suoi coetanei, l´adolescente trova rifugio vuoi tra vecchi pescatori, vuoi nella lettura: «Leggere i libri somigliava a prendere il largo con la barca, il naso era la prua, le righe onde».
Ritornano i ricordi scolastici, le parole vergate con pennino, calamaio e carta assorbente. Chi non poteva permettersela, si affidava ad un soffio leggero: «Al fiato misurato, le lettere tremavano lucenti, come fanno le lacrime e le braci». Ecco; come una fitta, come una pulsazione, la scrittura di De Luca racchiude un´intero passaggio nel felice sigillo di una frase (qui risolta in tre versi: un settenario e due endecasillabi). Lo stesso compito è affidato alle similitudini, tanto improvvise quanto icastiche. Così, l´incontro con i misteriosi corpi del sesso opposto viene descritto come quello fra «due mazzi di carte nuove, intersecati fitti e fragorosi».
Rimandato in matematica, il protagonista prende atto della propria “scarsità”. Tale mancanza, però, è compensata dalla scoperta dell´enigmistica, «una buona scuola di scrittura che addestra all´esattezza del vocabolo […] Esclude quelli affini, e l´esclusione è gran parte del vocabolario di chi scrive storie». Siamo di fronte a una dichiarazione di poetica: l´efficacia di questo racconto, tanto prossimo a un rito di passaggio, a una piccola educazione sentimentale, sta infatti nell´arte di togliere, un´arte “francescana” che De Luca persegue con ardore.
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