L’arte del giullare

Un incontro con Dario Fo che nel nuovo spettacolo affronta la figura di Correggio e s’insinua nell’attualità 

Un incontro con Dario Fo che nel nuovo spettacolo affronta la figura di Correggio e s’insinua nell’attualità 
Da ieri Dario Fo è in scena a Parma (ancora stasera) dopo l’anteprima di Salsomaggiore, con un nuovo spettacolo dedicato a Correggio, che dipingeva appeso in cielo (è appena uscito anche il libro, curato da Franca Rame e edito da Franco Cosimo Panini, pp.188 con un dvd, 20 euro). È un’esperienza che prosegue altre mirabili lezioni/spettacolo del premio Nobel per la letteratura. Con un fine che sta tra il pedagogico e il politico, ma che di fatto, chiediamo a Fo, ha intrapreso la forma di un «corso» di grandi lezioni di storia dell’arte. «Sì anche, ma ultimamente ho messo in scena testi diversi, come La bibbia dei villani, e ho recitato la storia del grande protettore di Milano, Sant’Ambrogio, che ha sconvolto i milanesi. Perché sono arrivati a scoprire qualcosa di Sant’Ambrogio che nemmeno immaginavano, dopo averlo considerato per tanto tempo un ‘santo di serie’».
La tua storia del resto è iniziata proprio come artista visivo, come pittore e disegnatore. Queste «lezioni d’arte» segnano, in qualche modo, un ritorno alle origini. Anche se, attraverso queste esistenze di pittori, tu racconti di fatto la nostra storia.
Certo. È un espediente che in teatro si è sempre adoperato: parlare di un problema che sembra lontano da quello che è l’attualità e poi invece ci vai dentro a piedi giunti. Io qui recito addirittura dei pezzi (due di Ruzante, e uno di origine greca di Siracusa) che sembrano parlare di personaggi dell’attualità ben chiari, di fatti di cronaca nostra, di situazioni dell’orrenda macchina che sta distruggendo ogni senso civile.
Quindi non perdi il tuo antico vizio?
No. È, come si dice in matematica, una coefficienza multipla. Tu arrivi a parlare dei problemi antichi come facevano tutti gli uomini di teatro da Shakespeare a Molière… Ambientavano in uno scenario viennese ciò che parlava nettamente e chiaramente della condizione dell’Inghilterra, e Shakespeare ha addirittura pagato con il silenzio totale per sedici anni, fino alla morte, l’aver messo in scena Misura per misura, chiaramente legato al successore di Elisabetta I.
Tu sei diventato il «padre» di una generazione quando scrivevi «Morte accidentale di un anarchico» o il «Fanfani rapito». Adesso succede un po’ il contrario: parti da figure culturali di alto livello per raccontare ancora la società attorno a te.
Questo lavoro è il decimo legato a pittori, che io metto in scena. Ho cominciato da Caravaggio, Leonardo, Raffaello, Mantegna…
Senza che suoni provocatorio, non è che pensi che oggi siamo tutti un po’ più ignoranti, magari perché la cultura scolastica si è un po’ abbassata?
Anche questo è vero. Però poi vedi l’attenzione, e soprattutto il tipo di mostre che si fanno dell’antico. C’è stata per esempio, quella del Mantegna, che sarebbe stata impossibile dieci anni fa; e ancora qualche altra mostra come appunto quella di Correggio, quattro anni fa, che è stata straordinaria, e sulla quale io ho deciso di fare questo spettacolo. In occasione dell’esposizione, a Parma, hanno fatto il saliscendi per raggiungere la cupola. E l’hanno visto finalmente, di colpo, qualcosa come 3 milioni di spettatori…
Tu parli di Correggio «che dipingeva appeso in cielo». Che tipo era Antonio Allegri?
Aveva un’origine molto bassa, come dicono certi intellettuali. Nato in un borgo della cittadina di Correggio, da una famiglia di quelle che oggi chiameremmo «vo’ cumprà», perché vendevano le merci da poco prezzo, ambulanti. Si chiamavano anche vocianti: andavano per le strade e a voce aperta e libera annunciavano le loro vendite. Poi aveva anche un’altra forma questa sua famiglia, animata da un sacco di bambini: gli stessi che lui dipinge a centinaia nelle cupole, nei suoi quadri, sempre bambini dappertutto. Ed era popolata pure da maestri e intellettuali, parenti che dal niente erano diventati professori universitari di allora, insegnavano chimica; uno fu persino chirurgo notissimo.
Lui ha approfittato subito di quest’onda ed è diventato un intellettuale, l’unico che sapesse qualche cosa di matematica, geometria, di analitica proiettiva, che conosceva la chimica, la struttura dell’universo e via dicendo. Questo ha portato a un livello di grande valore il suo fare, il suo esprimersi. E poi soprattutto era pieno di satira, di senso dell’umorismo e lì è legato a Mantegna: si vede che sono gente della stessa razza. Come anche Ruzante. Ci sono temi, nella sua pittura, che fanno venire in mente il Ruzante, con una satira su una certa cultura legata alla sacralità dell’antico. Ad esempio i greci, ma visti in maniera diversa dal solito. C’è tutta la teoria di amori di Giove con Venere, con le figliole sacre che vengono amate e il padre degli dei che si trasforma, non riesce a far l’amore da normale, si trasforma in un cigno, in oro, in vento, nuvole, buoi e via dicendo, pur di arrivare ad avere sensazioni nuove, con la scusa che deve conquistare con difficoltà delle fanciulle.
Questo però è un tema che pericolosamente ci riporta all’oggi.
Sì. E non per niente c’è stata perfino una questione piuttosto «dura» col ratto del giovanissimo Ganimede, già allora c’era chi tampinava figlioli, e faceva violenza ai ragazzini. Ecco che lì ci vado dentro a piedi giunti…
Oggi quel Correggio, quella grande pittura, quel paesaggio meraviglioso, in che cosa può commuovere lo spettatore moderno o in cosa Dario Fo? Oltre alla trasparenza dei possibili riferimenti alla situazione nostra…
Prima di tutto è la straordinaria fantasia che lui riesce a esprimere con le sue storie di gente comune, o che siano santi, o che siano madonne. C’è Eva che sembra un manifesto della battaglia femminile per riprendere la dignità e la presenza dentro il mondo e dentro la religione. Perché questa Eva non è che si presenta mortificata, umiliata dalla condizione di peccatrice, ma balla insieme a tante altre donne che battono tamburi, saltano, suonano viole. È una sorta di marcia musicale danzata nel cielo. Sono pochi i pittori che hanno avuto questa idea. E poi bambini dappertutto saltellanti; questo nascere e rinascere, ritrovare la forza di rinnovarsi, di sperare nelle nuove generazioni. Mi sembra di grande attualità oggi.

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