Indignati nella corrente

DEMOCRAZIAKMZERO
Adriano Sofri scrive un brillante (al solito) articolo su Tremonti e l’evasione fiscale, sulla Repubblica di ieri, e si augura «una mobilitazione indignata».

DEMOCRAZIAKMZERO
Adriano Sofri scrive un brillante (al solito) articolo su Tremonti e l’evasione fiscale, sulla Repubblica di ieri, e si augura «una mobilitazione indignata». E aggiunge: «Per così dire, auto-indignata», a suggerire che un po’ di colpa ce l’abbiamo tutti, benché sia complicato anche contabilmente dare degli evasori ai lavoratori dipendenti. Il Venerdì, il magazine di Repubblica, agli “indignados” ha dedicato l’ultima copertina. Alla maniera sua: “testimonial” è la “leader” degli studenti cileni, molto fotogenica; poi, nelle pagine interne, Marco Cicala racconta gli spagnoli di “Democracia real ya”, e qui e là si vede l’ampiezza del fenomeno: le piazze arabe e quelle greche, ecc. Il fenomeno piace, la parola suona bene. Dire «ci vorrebbe uno sciopero generale» suona vecchiotto, tanto meno si può sollecitare un assalto a Palazzo Chigi (o a Palazzo Grazioli, fa lo stesso). Dopo tanti anni di predicazione sulla scomparsa dei palazzi d’inverno in nome del “riformismo” (qualunque cosa contenga questa parola), è faticoso prendere atto che le classi politiche, cioè gli Stati fatti persone, sono pressoché impermeabili. I media si rifiutano di prenderne atto. I cittadini no. Perciò si “indignano” (ma questo modo di definire se stessi è occasionale, poteva essere qualunque altra parola, a segnalare il crinale tra il secolo degli Stati nazionali e quello della finanza transnazionale). In Israele, la nazione nata dai kibbutz del socialismo sionista (tralasciamo altre considerazioni sui palestinesi), 400 mila persone si riversano in piazza, dopo settimane di campeggio “indignato”, chiedendo una cosa sovversiva: la giustizia sociale. La società scivola via dalla tenaglia della guerra permanente. In Messico, decine di migliaia di persone, che si definiscono “indignados”, riempiono lo Zocalo, la grande piazza storica di Città del Messico, per dire che la situazione sociale è catastrofica, mentre il paese è immerso in una “guerra al narcotraffico” più sanguinosa di quella leggendaria della Colombia. Infatti, un grande movimento civico suscitato da un poeta, Javier Sicilia, il cui figlio è stato ucciso per caso in una sparatoria, preme per la pacificazione. (En passant, a chi chiede «che fine hanno fatto gli zapatisti e il subcomandante Marcos?», la risposta da dare è: il seme dà i suoi frutti).
E in Italia? Nell’articolo sul manifesto, Luca Casarini e Gianni Rinaldini, “uniti contro la crisi”, invitano ad aderire alla giornata mondiale degli “indignados”, il 15 ottobre. È un passo oltre. Sul sito di Democrazia km zero, Andrea Bagni si chiede come mai la sensazione di una breccia nell’anti-democrazia italiana, dopo i referendum e i voti di Milano e Napoli, sia già svanita. Forse, dice Andrea, non hanno torto quelli che dicono, come DKm0, che la democrazia rappresentativa è morta e che bisogna ricostruire altrove. Ma forse, aggiunge, hanno torto: perché è nell’ambito nazionale e con i mezzi istituzionali che si ottengono cambiamenti. Siamo in questa incertezza da anni. Difficile rinunciare alle forme note della politica di sinistra, ancora più difficile trovarne altre. Magari ci si potrebbe accordare su questo: gli “indignados” segnalano la direzione della corrente, benché l’acqua sia o sembra la stessa di sempre.

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