L’Italia operaia, l’unica che lotta

VENEZIA. «Questo è un paese che ogni tanto ha bisogno di ricordarsi che ha fatto delle cose bellissime», ricorda Luciana Viviani, militante Pci, organizzatrice dell’Udi campana che nell’immediato secondo dopoguerra assieme a una rete formidabile di donne comuniste e socialiste ha permesso la sopravvivenza fisica e l’educazione scolastica a migliaia di bambini trasportati in treno dalle zone più disastrate del sud nelle case di operai e contadini del centro-nord.

VENEZIA. «Questo è un paese che ogni tanto ha bisogno di ricordarsi che ha fatto delle cose bellissime», ricorda Luciana Viviani, militante Pci, organizzatrice dell’Udi campana che nell’immediato secondo dopoguerra assieme a una rete formidabile di donne comuniste e socialiste ha permesso la sopravvivenza fisica e l’educazione scolastica a migliaia di bambini trasportati in treno dalle zone più disastrate del sud nelle case di operai e contadini del centro-nord. Alcuni rimasero due anni, altri per tutta la vita, altri non hanno dimenticato mai quella lezione. Sia tra i genitori adottivi che tra gli adottati. Un modo per dare un senso non retorico ai 150 anni dell’Unità. Una maniera per ricordare come era feroce all’epoca, nonostante la caduta del fascismo, l’anticomunismo («andate in Alta Italia? Attenti bambini perché i comunisti vi trasformeranno in sapone» ricorda Luigina, convintasi allora a partire 13enne solo perché l’emozione del treno non l’aveva mai provata…). Pasta nera, incursione di Alessandro Piva negli archivi del Luce e del Movimento operaio e democratico e in quelli di film amatoriali della Home Movie di Bologna, è un bel pezzo di storia d’Italia, un salutare shock che ci farà uscire dall’incantesimo. La solidarietà verso chi ne ha bisogno è nel nostro dna, cristiano, comunista, precristiano e postcomunista.
Sempre in Controcampo italiano, e per sottolineare che la Mostra 68 di Mueller è al fianco dei lavoratori in lotta e in sciopero nazionale, proiezione proprio ieri di Pugni chiusi, che non è un doc su Demetrios Stratos ma in qualche modo traghetta la stessa forza d’urto hippie e lo stesso virtuosismo tecnico del cantante rivoluzionario ed extraparlamentare degli Area. Fiorella Infascelli ha seguito a lungo la lotta dura incruenta e eccentrica dei lavoratori della Vinlys contro la chiusura degli stabilimenti chimici di eccellenza di Porto Torres. È andata in prigione con loro nell’isola dell’Asinara.
Ha parlato, durante l’autoesilio durato un anno e 4 mesi, con Pietro e gli altri, che intanto diventavano più di una tribù di indiani metropolitani settantasettini, sul senso della battaglia e sui nuovi modi di ribellione operaia nell’epoca della robotica, della fine dell’operaio massa e della nascita dell’operaio internet e «immateriale». E mentre la Sardegna si pente di essersi consegnata alla propria rovina strategica in cambio di briciole illusorie di benessere, Pietro e compagni, rimpiangendo il partito di Berlinguer e Ingrao, conquistano egemonia sui media e sui new media e spiegano che la loro battaglia è persino ecologica e «verde» oltre che esemplare per tutti. Un biberon non tossico forse costa di più di un biberon tossico. E al taglio dei costi non si può rinunciare, nel catechismo di Tremonti. Ma non secondo quello della nuova Sardegna, post elezioni amministrative.

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