L’onda della piazza travolge il Pd

SCIOPERO «Certo che ci sarò», dice Bersani. Ma ha tentennato a lungo, e ora non può mancare
ROMA Il segretario: rafforzare la manovra, poi serve una svolta politica. Per il governo di garanzia fioccano le candidature

SCIOPERO «Certo che ci sarò», dice Bersani. Ma ha tentennato a lungo, e ora non può mancare
ROMA Il segretario: rafforzare la manovra, poi serve una svolta politica. Per il governo di garanzia fioccano le candidature

 «Certo che ci sarò». La annuncia come un fatto scontato, ma scontata non era affatto la presenza di Pier Luigi Bersani oggi nella piazza targata Cgil. Stamattina si unirà al corteo di Roma da via Merulana. La possibilità c’è sempre stata, ma per la decisione definitiva il leader Pd ha atteso un bel po’. Persino più del solito. Lui, nel giorno della convocazione dello sciopero generale da parte del solo sindacato di Susanna Camusso, aveva espresso molte perplessità («siamo preoccupati per l’unità dei sindacato»). E ai soliti no dei democentristi (Fioroni, Follini, Letta) stavolta si erano aggiunte quelle dei suoi. Stefano Fassina, responsabile economico, aveva apertamente parlato di «dubbi» sull’efficacia di una mobilitazione in solitaria della Cgil. E il tesoriere Misiani ha fatto girare un documento che chiedeva al Pd di non partecipare. Poche firme, meno di una decina, ma certo un «fuoco amico» che ha provocato la rivolta nella Cgil e un parapiglia nel partito.

Ma nei giorni successivi un doppio movimento ha travolto i tentennamenti: quello interno, il plebiscito a favore delle manifestazioni che si è sentito in tutte le feste del Pd, fino al calore con cui è stata accolta domenica Camusso alla festa nazionale di Pesaro, contro la perplessità sulle ragioni di Franco Marini, vecchio leone cislino, «una manifestazione fatta da tutti sarebbe stata più efficace di uno sciopero che risancisse la divisione fra i sindacati». «Non sopporto più questi discorsi», è la replica applauditissima della segretaria, «tutti i firmatari dell’accordo del 28 giugno dicano che non applicheranno l’articolo 8 sui licenziamenti, ma che applicheranno solo gli articoli unitari. Se no si tiene un piede in due scarpe». L’articolo 8 della manovra è il concreto oggetto del contendere: la Cgil ne chiede il ritiro, il Pd il ritiro o la radicale riscrittura. Il governo va avanti come un treno, e ora anche la Cisl di Bonanni, in difficoltà, è costretta a chiederne la cancellazione, il che rende ormai inspiegabile la non adesione allo sciopero.
Sul fronte esterno, Bersani ha preso atto in corsa che la Cgil, persino suo malgrado, con la frettolosa ma tempista convocazione dello sciopero, ha intercettato il dissenso generale contro il governo e lo sfinimento delle categorie colpite dall’ennesima manovra-batosta. Con adesioni e partecipazioni ben al di là dell’Idv e della sinistra da Vendola alla Federazione di Ferrero. Al senato la manovra galoppa al peggio, le garanzie europee all’Italia sono sempre più a rischio, il governo gratta il fondo della popolarità ed è esso stesso «causa dell’inaffidabilità del Paese», come ripete in queste ore Bersani. Di fronte a questa emergenza nera, il Pd non può sostenere che non sia opportuno andare in piazza, nonostante i ripetuti no del Terzo Polo e dei centristi interni. «Comprendiamo bene le ragioni dello sciopero», dice invece il segretario, «è da irresponsabili per puntiglio ideologico e micragneria politica mettere un solco tra le forze sociali come fa il governo con l’articolo 8 della manovra. Rompere il meccanismo del 28 giugno (dell’accordo siglato fra i sindacati e Confindustria, ndr) è assurdo».
Bersani non può non essere in piazza, oggi, nella manifestazione che segna il calcio d’inizio dell’autunno che lui stesso prevede «duro e pesante». E se fosse l’avvio della spallata al governo? In questi giorni fioccano le candidature per un esecutivo di garanzia. L’ultima, non sgradita al Pd (ma anche qui, con ampie eccezioni) quella dell’ex ad di Unicredit Profumo. Che domenica sul Corriere della sera ha stilato, in un’intervista, qualcosa che assomiglia parecchio a un programma di governo. In questa fibrillazione il principale partito dell’opposizione non può stare a guardare, pena restare fuori dal gioco. Così Bersani attacca: il Pd è disponibile a «rafforzare la manovra ma subito dopo un percorso di novità politica. Non c’è altra ricetta per uscire dalla crisi».

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