Un blues chiamato Fernanda Pivano

VENEZIA. Un «on the road» con Nanda, fra interviste e concerti. Anche di Patti Smith

VENEZIA. Un «on the road» con Nanda, fra interviste e concerti. Anche di Patti Smith
Nanda, Fernanda Pivano all’anagrafe, la treccia bionda come si definisce lei, riposa in pace, e questa volta non è un modo di dire, ma l’equivalente di Miracolo a Milano dove «buongiorno» vuol dire veramente buongiorno. La Nanda riposa ma continua a darci emozioni perché se una cosa ci ha insegnato consiste nel non guardare al passato, nel non indugiare sul presente, ma a costruire il futuro. Per questo Nanda è sempre giovane anche quando la sua treccia bionda si è fatta apparentemente più rada e meno morbida, per questo la amiamo, noi come i grandi scrittori d’America, come tutta la Beat Generation, come un esercito di musicisti, cantautori, rockstar. Nanda ha avuto una vita bellissima, ce lo ricorda Teresa Marchesi che firma Pivano Blues, sulla strada di Nanda, un documentario che rischia di affogare nell’affollamento onnivoro del Lido. Un episodio racconta la sua passione letteraria. Torino è appena liberata, gli alleati, gli americani sono in città. In un bugigattolo sono ammassati libri, per le truppe. La Nanda e il suo insegnante Cesare Pavese sono lì, inginocchiati a rovistare in quell’immensa miniera e trovano un tesoro: Francis Scott Fitzgerald. Bene hanno fatto i Litfiba a creare la suite che, come dicono loro, volevano «larga come il sorriso di Nanda», musica di Pelù e Renzulli, su testo di Hemingway dimmi dei nazi. Così l’aveva accolta al loro primo incontro. «Papa» non voleva sapere altro se non come quello scricciolo biondo avesse affrontato i nazisti che l’avevano arrestata due volte perché aveva osato tradurre l’intraducibile: la libertà, la democrazia.
In qualche modo è fantastico ripercorrere incontri, amicizie, dichiarazioni, interviste, concerti che hanno visto la compostissima Nanda accanto a tossici, ubriachi, sbarellati, ma soprattutto poeti. Madonna diceva che le brave ragazze vanno in paradiso, mentre le altre vanno dappertutto: non aveva conosciuto la Nanda che da brava ragazza è andata dappertutto e con chiunque, mostrandone il lato migliore. Ci vuole un’intelligenza smisurata, un grande talento e un cuore capace di contenere le infinite emozioni per poter trovare quegli amici. Pacifista sì, ma non pacifica, basta guardare il carteggio, durato sei anni, sulle voglie di ottusità censoria della Mondadori e di Vittorini nei confronti dell’Urlo ginsberghiano e le puntuali risposte pivaniche, uno dei passaggi più esilaranti del documentario. Hemingway al telefono, Kerouac in tv, Ginsberg on stage, e ancora Gregory Corso, Jay McInerney, Erica Jong, Abel Ferrara, Lou Reed, Patti Smith che è venuta al Lido di persona per accompagnare il documentario e omaggiare Nanda con un paio di canzoni sul tappeto rosso. «Non ricordo quando è stata la prima volta in cui l’ho incontrata – rievoca Patti – ma per me, era come un sorriso vivente, complice, giocosa, un po’ seduttiva, intensa, amante della musica e qualsiasi cosa tu facessi lei ti guardava sempre dritta negli occhi. Molto generosa».
Non dissimili le carinerie degli amici made in Italy: Lorenzo Cherubini, Piero Pelù, Vasco Rossi, Francesco Guccini, Luciano Ligabue, Fabrizio De André, Dori Ghezzi, Morgan, Pfm, Vinicio Capossela, e ancora le pitture animate di Ursula Ferrara, la presenza discreta di Enrico Rotelli, le voci di Luciana Littizzetto e Paolo Maria Noseda, con Michele Concina a produrre. Tanta poesia. Ma quando mai i poeti hanno cambiato il mondo? «Il mondo no, ma le anime sì», cesella la Nanda alla fine del documentario. E ha ragione lei, sconfitta dal mondo, ma non dalle anime. E l’anima continua a fare commuovere, anche oggi, sia Nanda che noi, quando vola via dalle labbra di Francis Turner dell’amata in Spoon River. Vola via, non muore.

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