Foucault: isteria e ipocondria

Così la storia della medicina trasformò due patologie in «malattie sorelle» della follia I steria e ipocondria. Al riguardo si pongono due problemi. 1) In che misura è legittimo trattarle come malattie mentali, o almeno come forme della follia? 2) È possibile trattarle assieme, come se formassero una coppia virtuale, simile a quella formata molto presto dalla mania e dalla malinconia?

Così la storia della medicina trasformò due patologie in «malattie sorelle» della follia I steria e ipocondria. Al riguardo si pongono due problemi. 1) In che misura è legittimo trattarle come malattie mentali, o almeno come forme della follia? 2) È possibile trattarle assieme, come se formassero una coppia virtuale, simile a quella formata molto presto dalla mania e dalla malinconia?
Un colpo d’occhio sulle classificazioni basta a convincere: l’ipocondria non figura sempre a fianco alla demenza e alla mania; l’isteria vi prende posto solo molto raramente. Plater non annovera né l’una né l’altra tra le lesioni dei sensi e alla fine dell’età classica Cullen le classificherà ancora in una categoria diversa dalle vesanie: l’ipocondria verrà collocata tra le «adinamie o malattie che consistono in una debolezza o perdita del movimento nelle funzioni vitali o animali», l’isteria tra «le affezioni spasmodiche delle funzioni naturali».
Di più: nelle tavole nosografiche, raramente queste due malattie vengono raggruppate in una vicinanza logica o anche avvicinate nella forma di un’opposizione. Sauvages classifica l’ipocondria tra le allucinazioni — «allucinazioni che riguardano solo la salute» — e l’isteria tra le forme della convulsione. Linneo utilizza la stessa ripartizione.
Non sono forse fedeli, entrambi questi autori, all’insegnamento di Willis, che ha studiato l’isteria nel suo libro De morbis convulsivis e l’ipocondria nella parte del De anima brutorum dedicata alle malattie della testa e intitolata Passio colica? Si tratta infatti di due malattie molto differenti: in un caso, gli spiriti surriscaldati subiscono una spinta reciproca, che potrebbe far credere a una loro esplosione (poiché suscitano alcuni di quei movimenti irregolari o preternaturali la cui figura insensata è rappresentata dalla convulsione isterica); nell’altro caso invece — cioè nella passio colica — gli spiriti vengono irritati da una materia che rispetto a essi è ostile e mal proporzionata (infesta et improportionata); provocano perciò disturbi, irritazioni, corrugationes nelle fibre sensibili. Willis consiglia dunque di non lasciarsi prendere alla sprovvista da certe analogie tra i sintomi: certo, si sono viste convulsioni produrre dolori, come se il movimento violento dell’isteria potesse provocare le sofferenze dell’ipocondria. Ma le somiglianze ingannano. Non eadem sed nonnihil diversa materies est.
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Ma sotto queste costanti distinzioni dei nosografi si sta realizzando un lento lavoro che tende sempre di più ad assimilare isteria e ipocondria come due forme di una stessa e unica malattia. Richard Blackmore pubblica nel 1725 un Treatise of spleen and vapours, or hypochondriacal and hysterical affections. Le due malattie sono qui definite come varietà di un’unica affezione: una «costituzione morbifica degli spiriti» e una «predisposizione a uscire dai loro serbatoi e a consumarsi». In Whytt, alla metà del XVIII, l’assimilazione è completa; il sistema dei sintomi è ormai identico: «Una straordinaria sensazione di freddo e di calore, i dolori in parti differenti del corpo; le sincopi e le convulsioni vaporose; la catalessia e il tetano; i venti nello stomaco e negli intestini; un appetito insaziabile per gli alimenti; vomiti di materia nera; un flusso subitaneo e abbondante di urina pallida, limpida; il marasma o l’atrofia nervosa; l’asma nervosa o spasmodica; la tosse nervosa; le palpitazioni del cuore; le variazioni del polso, i mali e i dolori di testa periodici; le vertigini e gli stordimenti, la diminuzione e l’indebolimento della vista; lo scoraggiamento, l’abbattimento, la malinconia o anche la follia; il brutto sogno o l’incubo».
D’altra parte isteria e ipocondria, nel corso dell’età classica, raggiungono lentamente il campo delle malattie della mente. Mead poteva ancora scrivere, a proposito dell’ipocondria: «Morbus totius corporis est». E occorre restituire il suo giusto valore al testo di Willis sull’isteria: «Tra le malattie delle donne, la passione isterica gode di una così cattiva reputazione che deve diventare, alla maniera dei semidamnati, portatrice dei difetti di numerose altre affezioni; se una malattia di natura sconosciuta e di origine nascosta si produce in una donna in modo tale che la sua causa sfugge e che l’indicazione terapeutica rimane incerta, subito accusiamo la cattiva influenza dell’utero, che nella maggior parte dei casi non è responsabile, e a proposito di un sintomo non abituale noi dichiariamo che vi si nasconde qualcosa di isterico e assumiamo proprio tale sintomo, che è stato così spesso il sotterfugio di tanta ignoranza, come oggetto delle nostre cure e dei nostri rimedi». Quanto sto per dire non dispiaccia ai commentatori tradizionali di questo testo, inevitabilmente citato in ogni indagine sull’isteria: esso non significa che Willis abbia messo in dubbio un’assenza di fondamento organico nei sintomi della passione isterica. Esso afferma soltanto, e in maniera esplicita, che la nozione di isteria raccoglie tutti i fantasmi: non i fantasmi di colui che è o si crede malato, ma quelli del medico ignorante che finge di sapere.
Anche il fatto che l’isteria sia classificata da Willis tra le malattie della testa non sta a indicare che egli ne faccia un disturbo della mente, ma solo che egli ne attribuisce l’origine — ed è l’origine e il primo tragitto degli spiriti animali — a un’alterazione di ordine naturale.
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Eppure, alla fine del XVIII secolo ipocondria e isteria figureranno, quasi senza problema, tra gli stemmi della malattia mentale. Nel 1755 Alberti pubblica a Halle la sua dissertazione De morbis immaginariis hypochondriacorum; e Lieutaud, pur definendo l’ipocondria come spasmo, riconosce che «la mente è affetta quanto il corpo, e forse di più; da qui ne deriva che la parola ipocondriaco è divenuta quasi un termine offensivo di cui i medici che vogliono piacere evitano di servirsi».
Quanto all’isteria, Raulin non le assegna una maggior realtà organica, almeno nella sua definizione iniziale, inscrivendola di primo acchito in una patologia dell’immaginazione: «È divenuta talvolta epidemica e contagiosa questa malattia nella quale le donne inventano, esagerano e ripetono tutte le differenti assurdità di cui è talvolta capace un’immaginazione sregolata». Nell’età classica vi sono dunque due linee essenziali di evoluzione per l’isteria e per l’ipocondria. Una linea le avvicina fino alla formazione di un concetto comune, che sarà quello di «malattia dei nervi»; l’altra sposta il loro significato e il loro supporto patologico tradizionale — sufficientemente indicato dal nome — e tende a integrarle poco a poco al campo delle malattie della mente, a fianco alla mania e alla malinconia. Ma questa integrazione non si è realizzata, come per la mania e la malinconia, al livello di qualità primitive, percepite e sognate nei loro valori immaginari. Siamo di fronte a un tipo di integrazione completamente diverso.

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Da tesi di dottorato a manifesto anti-internamento
 La Storia della follia nell’età classica è stata la tesi di dottorato che Michel Foucault scrisse mentre si trovava in Svezia. Venne pubblicata nel 1961 da Plon a Parigi con il titolo Folie et déraison e due anni dopo in Italia, da Rizzoli, con traduzione di Franco Ferrucci, Emilio Renzi e Vittore Vezzoli. E’ uno studio sull’idea di follia nella cultura europea dall’età classica (ovvero dal XV e XVI secolo) all’avvento della psicologia freudiana.
Nel testo, Foucault (che era figlio di un medico) intende mostrare sia il passaggio da una concezione organica e per similitudine delle malattie nervose a una mentale e comportamentale, sia le diverse forme di internamento con le quali i cosiddetti malati di mente — e con essi varie altre categorie di individui come eretici e criminali — sono stati marginalizzati. A cinquant’anni dall’uscita a Parigi della prima pubblicazione, Rizzoli ripubblica l’opera — in libreria da mercoledì prossimo — in un’edizione ampliata e completa a cura di Mario Galzigna (pp. 818, 12,90) nella quale viene riproposta la «Prefazione» del ’61 (che poi Foucault decise di eliminare), vengono integrate alcune parti omesse nell’edizione del 1963 e tra queste anche Hystérie et Hypochondrie, capitolo del quale presentiamo qui sopra uno stralcio. La parte presentata inquadra la materia quando le due patologie sono ancora trattate separatamente come malattie dei nervi di origine organica. Nella parte finale del capitolo, Foucault mostrerà il loro divenire «malattie sorelle» all’interno del sistema psichiatrico. Nonché il loro passare da errore del corpo a colpa sociale tale da richiedere (specie con Samuel Tuke e Philippe Pinel) una punizione corporale. Il libro comprende anche due altri saggi: La follia, l’assenza di opera e Il mio corpo, questo foglio, questo fuoco. (p. pan.)

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