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Le lezioni d’amore della poetessa russa

La casa editrice Voland ripubblica “Le notti fiorentine” di Marina Cvetaeva.  Il volume è una raccolta di lettere che mostra come possa essere vissuta una passione davvero libera. L’opera è stata curata e introdotta da Serena Vitale

La casa editrice Voland ripubblica “Le notti fiorentine” di Marina Cvetaeva.  Il volume è una raccolta di lettere che mostra come possa essere vissuta una passione davvero libera. L’opera è stata curata e introdotta da Serena Vitale

Leggere Marina Cvetaeva adesso, fa sentire nudi. È uno svelamento sul piano estetico, critico e perfino antropologico. Tutte sciocchezze, sembra dirci di ogni piccola cosa che ci attardiamo a pensare, di ogni giustificazione, teoria dell´effimero: acque torbide nelle quali vi ostinate a galleggiare. Dimenticate il mare: la verità è più in alto, sulla vetta, al termine di una lunga durissima e vitale scalata. Pensavo, rileggendo Le notti fiorentine, che questa energia che scoppia dalle sue pagine e ci fa tremare di commozione, è la giovinezza. Ma qualcosa non tornava. Sono passati quasi 30 anni dalla celebre edizione di Mondadori, la prima. Le ripubblica adesso Voland, nella collana dei classici – una serie di imperdibili libretti, dalla grafica semplice ma perfetta, capolavori da tasca. Sempre con la cura di Serena Vitale, e una sua, splendida, prefazione aggiornata. Le notti fiorentine, il cui titolo è un omaggio all´omonima raccolta poetica di Heinrich Heine, è un romanzo epistolare. Le lettere, scritte da Marina in russo e poi tradotte in francese, sono tutte rivolte a Abram Visnjak, proprietario ed editore della casa editrice Gelikon (Elicona). Quando i due si incontrano, Marina ha quarant´anni. È sposata con Sergej Efron, ufficiale dell´Armata Bianca, dal quale ha avuto due figlie. Ariadna (Alja) che diventerà la biografa della madre, e Irina. Quest´ultima, quando la madre partirà per la Germania per rincontrare finalmente il marito, è già morta. Di fame, in un orfanotrofio dove Marina è stata costretta a lasciarla dopo il disastro economico seguito alla rivoluzione. Il 15 maggio 1922 quando scende alla stazione di Charlottenburg, Marina non è né ingenua né leggera. Non somiglia in nessun modo alle nostre icone di giovinezza. Dai lucchetti legati ai ponti agli ombelichi, dalle boy band ai talent show, negli ultimi trent´anni, giovane è arrotolarsi le punte dei capelli al dito, sospirare, sbracarsi di droghe a caso. Per questo, rileggendo Le notti fiorentine, mi sono sentita nuda. E mi sono aggrappata a quella intransigenza come a un antidoto. La giovinezza, tornavo a capire, è il luogo del coraggio, dello sprezzo delle convenzioni, giovane è buttarsi nel fuoco sapendo di bruciare. Non è un´età, è farsi passione e basta… «Prendimi nel tuo sonno più addormentato, starò buona: sarò soltanto cuore». E questa passione, che testimonia di qualcosa che apparentemente potremmo chiamare amore, è il motivo per cui le cose accadono: la vita stessa, ma soprattutto, come direbbe Marina, l´arte. Giovane, capivo di nuovo leggendo quelle lettere violente, oscene nella loro libertà, è tutto ciò che non è postumo. È ora, è un tempo che precede il post-modernismo, ma anche tutte le successive posterità. Quello è il nucleo lavico della creatività. La poesia, la letteratura di Cvetaeva, si leggono ormai quasi con imbarazzo. Ci riportano a un tempo e a un luogo integri, barbarici. «Il mio amore non corrisponde a nessun tempo, a nessun luogo. Non sarà mai l´ingresso in una certa stanza, a una certa ora… ogni strada che finisce in una stanza è falsa, ed è l´unica su cui non lascio mai correre le mie gambe». Un amore implacabile che non è mai un legame, forse ossessivo e furioso ma non meschino, mai. C´è un verso di Rilke, poeta al quale Marina è stata legata da una di queste speciali passioni, che spiega come «essere la libertà di chi si ama» è la forma più preziosa di amore. Di questa libertà, e di queste relazioni, Marina è stata la regina. E non si tratta di vita, esistere è sempre stata una faccenda complicata per questa donna, morta suicida nel 1941, ma di letteratura. «È solo quando si è a corto – di tenerezza o di qualsiasi altra forza – che se ne riconosce l´inesauribilità. Più diamo, più ci resta. Dilapidando arricchiamo. Sanguiniamo – ed eccoci fonte viva». Leggere questo romanzo prezioso, leggerlo come il libro dei Ching, aprendo a caso e trovando tra le righe la sentenza sulla quale meditare, è un´esperienza che ci riconcilia con l´arte, sparigliando tutte le oziose domande sul perché. Non ci sono perché, c´è solo un come. «Ho sempre preferito far dormire, piuttosto che togliere il sonno, nutrire piuttosto che togliere l´appetito, far riflettere piuttosto che far perdere la testa. Ho sempre preferito dare a togliere, dare a ricevere, dare ad avere». Così scrivono e vivono i migliori di noi.

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