I sogni delle rivoluzioni non generano mostri

STORIA Michele Battini riprende le tesi di à‰lie Halévy e le riabilita
In «Utopia e tirannide» confutata la tesi che vuole gli illuministi colpevoli di aver creduto alla realizzazione della giustizia sociale attraverso la legge

STORIA Michele Battini riprende le tesi di à‰lie Halévy e le riabilita
In «Utopia e tirannide» confutata la tesi che vuole gli illuministi colpevoli di aver creduto alla realizzazione della giustizia sociale attraverso la legge

 La genealogia del neoliberalismo nella sua variante antisociale è l’argomento al quale Michele Battini si dedica da anni, e che aveva già costituito l’oggetto di un suo apprezzato volume, L’ordine della gerarchia, uscito nel 1995 per Bollati Boringhieri. Per lo stesso editore scrive ora Utopia e tirannide. Scavi nell’archivio Halévy, (pp. XV-301, euro 26) mettendo insieme un percorso tra idee e autori della nostra modernità alla ricerca delle radici di quel senso comune che contrappone alla giustizia sociale la libertà individuale.

La polemica è, per la verità, già vecchia e, come tale, di solida persistenza. O meglio di insopportabile petulanza, visto che si ripropone da almeno trent’anni nella discussione politica di casa nostra e non solo. Ma la querelle data ben da prima, attraversando due secoli, e l’autore ricostruisce la complessa intelaiatura dei suoi fondamenti intellettuali, posti alla base di una costruzione nella quale la dimensione individuale viene fatta ripetutamente scontrare con quella collettiva. La datazione viene fatta risalire da Battini al XVIII secolo, con la nascita e l’affermazione dell’individualismo economico moderno, attraverso la frantumazione del sistema di valori comunitario, che aveva fino ad allora governato i destini di interi gruppi umani. Con la fine del Settecento e la progressiva affermazione di un’idea di produzione e di consumo unificati, infatti, si transita da una economia integrata nelle norme morali della società a una organizzazione materiale e simbolica, dove il principio della diretta autoregolazione delle relazioni economiche e della privatizzazione dei mezzi di produzione segna il trapasso verso la forma compiuta del capitalismo. Più specificamente, si celebra il divorzio dell’economia dalla politica, il costituirsi della prima come sfera a sé, in grado di legittimarsi autonomamente, in quanto luogo dei bisogni e del loro soddisfacimento, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. È quindi in quel frangente che si determina il pensiero per il quale la naturalità dell’agire sociale corrisponderebbe unicamente alla «spontaneità» della formazione del valore di scambio, il quale si originerebbe a sua volta dalla razionalità intrinseca a quel luogo materiale e mentale che porta il nome, talismanico e taumaturgico, di «mercato». L’intero sistema riposerebbe sulla sua natura evolutiva, essendo lo sbocco spontaneo del mutamento storico dell’agire umano, l’anello terminale, basato su un equilibrio che in nessun modo dovrebbe essere messo in discussione poiché già capace di definirsi da sé. Qualsiasi tentativo di porre un vincolo a questa dinamica costituirebbe, perciò, una violazione imperdonabile del dono che la società riesce a farsi, quello di sapersi autogenerare e riprodurre per il tramite della contrattazione mercantile tra privati. L’intera vulgata illuminista e, di riflesso, l’aborrito socialismo, si baserebbero invece sull’equivoco secondo il quale l’intervento del legislatore in campo economico sarebbe indispensabile per orientare e garantire la coesione sociale.
Per gli autori neoliberali come Mises, Furet, Talmon, Aron, Berlin e, soprattutto, Hayek esisterebbe quindi un nesso indissolubile tra le tentazioni «dirigiste», nate nell’età dei Lumi per poi svilupparsi in filoni distinti ma convergenti, e la tirannide contemporanea, che rappresenterebbe il grado ultimo di quel «costruttivismo giuridico» finalizzato a incapsulare la libertà dei moderni dentro la griglia della predeterminazione. Il realtà, come efficacemente Battini riesce a dimostrare, l’utopismo di cui è accusata la vulgata illuminista (una categoria che nella precettistica neoliberale si dilata fino a contemplare chiunque non aderisca preventivamente agli assiomi della spontaneità del mercato e della primazia del valore monetario, il prezzo, in quanto misura universale delle relazioni interpersonali) si rivolta contro gli stessi accusatori, la cui posizione risulta da subito indebolita da un determinismo che non scende mai a patti con la realtà dei fatti. Ed è su questi argomenti che l’autore incontra il suo compagno di viaggio, lo storico e filosofo Élie Halévy, di cui rivaluta il pensiero, cercando di sottrarlo all’apologia dell’economia politica classica e del marginalismo. Il problema di fondo è come fare interagire efficacemente ciò che chiamiamo natura umana e la sua incontestabile vocazione a una dimensione politica, con la giustizia sociale. Halévy, studioso dell’utilitarismo, del costituzionalismo e del liberalismo classico inglese nonché del socialismo europeo, morto nel 1937, in prossimità della catastrofe europea, è considerato a torto il padre della nidiata neoliberale e liberista. Le sue riflessioni sono infatti state abbondantemente utilizzate per condannare in toto la storia del socialismo, attribuendo a quest’ultimo l’infelice ruolo di matrice delle tirannie contemporanee.
Battini recupera le carte dell’archivio Halévy, ricostruendo non solo il pensiero dello studioso ma anche la ricezione tendenziosa che se ne è fatta attraverso la rilettura interessata da parte neoliberale. Una rilettura che si è addirittura riversata in riscrittura, laddove pagine del maestro furono omesse dai discepoli quando non risultavano funzionali a ciò che volevano sostenere, a partire dall’ossessione antisocialista per arrivare al rifiuto dei sistemi di Welfare. Quello che all’autore interessa non è né procedere a una postuma riabilitazione per parte della sinistra intellettuale, alla quale Halevy non era peraltro estraneo, né arrivare a una condanna per contraffazione dei suoi interessati discepoli. Piuttosto intende ricostruire la trama complessa del suo pensiero, connotato da uno sviluppo volutamente discontinuo e inesorabilmente policentrico.
In Halévy le interrogazioni sopravanzano le certezze, cogliendo il fatale momento di transizione vissuto tra due guerre mondiali e vivendo il contrasto tra autoritarismo e liberalismo, tra democrazie e totalitarismi ma anche tra individuo e masse così come tra poteri pubblici e spazi di libertà. È seguendo questo percorso che Battini ci rimanda all’oggi e alla moderna tirannia di un nuovo soggetto fagocitante, quel mercato celebrato come giardino edenico mentre somiglia assai di più al luogo delle disarmonie prestabilite.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password