Ex dirigente dell’anti-terrorismo: ‘George Tenet nascose informazioni su due dirottatori grazie alle quali avremmo potuto smantellare il piano di attacco al Pentagono’
Ex dirigente dell’anti-terrorismo: ‘George Tenet nascose informazioni su due dirottatori grazie alle quali avremmo potuto smantellare il piano di attacco al Pentagono’
Con il decimo anniversario dell’11 settembre alle porte, nuove rivelazioni da parte di ex alti funzionari dell’intelligence americana continuano a mettere in evidenza le clamorose inefficienze – in qualche caso consapevoli omissioni – nella gestione della sicurezza da parte dei servizi segreti statunitensi.
E’ il caso dell’ex consulente anti-terrorismo delle amministrazioni Clinton e Bush, Richard Clarcke. oggi presidente della compagnia di security ‘Good Harbor consulting’, Clarke accusa i vertici della Cia del tempo, George Tenet, Cofer Black e Richard Blee di aver tenuto segrete informazioni preziose – in possesso della Casa Bianca, dell’Fbi, dell’Ufficio immigrazione – relative a due dei dirottatori del volo American Airlnes 77 diretto a Los Angeles.
Nell’ottobre del 2009, Clarke espose la sua interpretazione dei fatti a due giornalisti, John duffy e Ray Nowosielski, che stavano lavorando a un documentario su Blee e il segreto che circondava il suo ruolo nei fallimenti dell’intelligence prima dell’11 settembre. Il documentario verrà trasmesso proprio il giorno del decimo anniversario, ma il sito di inchiesta Truth Out ha ottenuto l’intervista e ne ha anticipato parte dei contenuti.
Clarke sostiene che Tenet, ex direttore dell’agenzia, Black, capo dell’anti-terrorismo, e Blee, braccio destro di Tenet, sono responsabili per non aver catturato Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar, dirottatori del volo AA 77 insieme ad altri tre terroristi. L’aereo si schiantò sul Pentagono uccidendo 189 persone.
“Tenet seguiva tutte le informazioni su al-Qaeda nei dettagli più microscopici – racconta Clarke – leggendo rapporto di intelligence prima degli analisti del centro anti-terrorismo. Mi chiamava alle 7.30 per parlare delle varie questioni”.
Ma l’ex capo della Cia non condivise con Clarke informazioni fondamentali riguardo al caso al-Hazmi/al-Mihdhar. Nel gennaio 2000 gli analisti della Cia furono informati dalla Nsa (National Security Agency, l’organismo di coordinamento di tutte le agenzie di intelligence Usa) che i due terroristi si stavano recando a un incontro di affiliati ad al-Qaeda in Malesia. La Cia ricevette foto dei due dall’intelligence malese. Successivamente insieme a Khallad bin Attash, la mente dell’attentato alla portaerei Uss Cole, si recarono in Thailandia. Qui la Cia, nelle deposizioni alla Commissione sull’11 settembre, sostiene di essersi fermata e di aver perso traccia dei tre. Al-Hazmi e al-Mihdhar presero un aereo per Los Angeles, dove si incontrarono con il professore britannico in pensione Abdussattar Shaikh, che lavorava in segreto come informatore dell’Fbi. La Cia avrebbe omesso di informare l’Fbi e il Dipartimento di Stato sulle attività di al-Mihdhar. Questi, nonostante avesse visti di ingresso multipli, non fu mai inserito nella lista nera dell’immigrazione.
Clarke sostiene che se la Cia avesse messo a parte Fbi e altri delle informazioni su al-Mihdhar, forse l’attacco al Penatagono avrebbe potuto essere evitato. Anche l’Fbi ha la sua dose di responsabilità. Uno dei suoi agenti, che scoprì sempre nel 2000 che al-Mihdhari aveva un visto per gli Stati Uniti, scrisse un memo da inviare all’unità del Bureau che gestiva l’affare Bin Laden. Ma il memo non fu mai spedito: qualcuno, alla Cia, vietò all’agente di inviarlo.
“Oltre a lui, un’agente di primo piano, Jennifer Matthews della Cia, sapeva molte cose sul terrorista. Morì in un attentato in Afghanistan. Ma insieme a lei anche una cinquantina di altri funzionari erano a conoscenza dei fatti. E del fatto che al-Mihdhar risiedette per 18 mesi negli Stati Uniti”, riferisce Clarke. L’ex agente dell’anti-terrorismo ha una sua teoria sul perché non venne informato.
“Forse volevano reclutare i due terroristi. L’agenzia aveva un disperato bisogno di informatori nella cerchia più interna ad al-Qaeda”. Quando i due misero piede negli Stati Uniti, la competenza su di loro avrebbe dovuto passare all’Fbi, ma non è escluso, sempre secondo Clarke, che la Cia avesse utilizzato i suoi contatti con l’intelligence saudita per lasciare a loro il compito di avvicinarli.
L’agenzia di intelligence attese la fine di agosto per informare fuzionari di rango inferiore dell’Fbi della presenza di al-Hazmi e al-Mihdhar sul suolo statunitense, e della probabilità che stessero pianificando un attentato. Il 4 settembre, in un incontro con membri dell’amministrazione Bush al quale attese anche Clarke, la Cia continuò a non rivelare informazioni di intelligence sui due dirottatori. “Il perché è presto detto – conclude Clarke -. Se fosse successo avrei avuto parecchie domande da porre ai ‘colleghi’: da quanto tempo lo sapete? Perché non lo avete riportato agli incontri quotidiani sul livello delle minacce al nostro Paese? Avremmo avviato un’inchiesta sulla condotta illecita e l’abuso di potere dell’agenzia. Se avessero rivelato ciò che sapevano anche una settimana prima degli attentati, l’Fbi avrebbe potuto catturarli, e smantellare i loro piani di attacco al Pentagono. Avremmo lanciato una caccia all’uomo pubblica. Avremmo trovato quei bastardi. Non ho dubbi. Anche solo con una settimana di tempo”.
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