LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELL’ANPI
Al Presidente nazionale dell’Anpi Carlo Smuraglia
«Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte, eppur bisogna andar…». Andarono. I vecchi partigiani raccontano la loro tremenda ed esaltante avventura. Con la vita e la morte vicinissime, anzi contigue.
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELL’ANPI
Al Presidente nazionale dell’Anpi Carlo Smuraglia
«Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte, eppur bisogna andar…». Andarono. I vecchi partigiani raccontano la loro tremenda ed esaltante avventura. Con la vita e la morte vicinissime, anzi contigue. Rifugi inadatti, avversari troppo bene armati, incursioni non ben preparate, ecco che non c’eri più. O, forse ancor peggio, i nazisti e i fascisti che ti avevan catturato. Uniche mete: battersi e sopravvivere. Ambedue difficilissime. Combattere non solo contro il nemico, ma contro il gelo, la fame, la solitudine. Lo hanno ricordato in tanti, anche un amico che amavo e stimavo, Baldo Bertoli, pittore, scrittore, giornalista con me al Giorno negli anni Sessanta. Il suo libro, La quarantassettesima, che come tante cose belle ebbe scarsa fortuna, testimonia quei giorni.
Come Il partigiano Johnny del grande Beppe Fenoglio e tanti altri. Ne scaturisce l’angoscia dei momenti più duri e la gioia di esser sopravvissuti anche se devi cercar di sbriciolare una corteccia per poter bloccare i crampi. Ma ecco un casolare, un villaggio, un paesuccolo e gente che non conosci, che neanche immaginavi, ti ridà la vita con un sorso d’acqua, un bicchiere di vino, una bevuta di latte. E un sorriso, una stretta di mano, un rifugio per la notte, magari tra gli animali, ma finalmente al caldo. Fu questo popolo senza nome, popolo e basta, a consentire, come unanimemente si asserisce, l’esistenza e la sopravvivenza di coloro che si battevano per la libertà. Furono le retrovie essenziali di una guerra impari, ma che andava combattuta e fu combattuta grazie a questi aiuti, spesso scarsi, ma essenziali.
Poi arrivarono, arrivavano i nazifascisti a far piazza pulita con ferocia che non trova aggettivi: donne sventrate, altre impalate, corpicini di bimbi scagliati in aria per farne bersagli (come accadde a Sant’Anna di Stazzema, di cui proprio venerdì ricorreva il 60° anniversario), vecchi bruciati vivi, uomini disarmati resi zeppi di proiettili. E questo dove neanche c’era l’ombra dei partigiani, ma intorno a loro, se fossero arrivati o dovessero arrivare, avrebbero trovato terra bruciata. Decine di migliaia di queste vittime innocenti cui si sommano i nostri militari trucidati dopo che avevano alzato bandiera bianca. Ma quanti siano, se venti o trentamila o più, nessuno lo sa. L’Italia, «dolce paese…», come hanno proclamato i poeti, non ha pensato di fare questa drammatica, ma necessaria conta. Neanche l’Anpi, perché quando tu non lo eri ancora presidente, il tuo predecessore si è permesso di azzerare un ordine del giorno accolto plebiscitariamente dalla base. Ma siamo alle solite: che vuole la base? Perché protesta? Che cerca? Cose molto semplici: che ci si ricordi di questo popolo cui dobbiamo la democrazia e la Costituzione. Certo, hanno contribuito in maniera determinante gli alleati, ma noi ci siamo presentati a loro con la faccia pulita, non più quella lordata dal fascismo. E ha dato a questo una mano essenziale, il popolo della campagna, delle montagne, delle pianure, Marzabotto, Stazzema, Fivizzano, Matera, Capistrello… Debbo fermarmi perché non posso elencare le settecentottanta località delle stragi. Tante ne calcolai anni fa, ma poi sono ulteriormente aumentate. Questo popolo va onorato nei tanti modi che sai e che ti ho scritto, presidente, intervenendo affinché i condannati dai nostri tribunali espiano le pene che gli sono state inflitte. Affinché si stabilisca finalmente chi, come, quando e perché decise di rinchiudere la storia delle loro tragedie nell’Armadio della vergogna. Affinché si sappia quante sono le vittime. Affinché qualcuno chieda perdono a nome dello Stato, come mi aveva promesso il presidente Ciampi che avrebbe fatto, ma poi non si ripresentò per il rinnovo del mandato. Affinché, prima che venga deciso per le escort (dolce paese il nostro anche a mascherare la realtà linguistica), venga indetto pure per loro un giorno del ricordo. Tutti noi cittadini italiani abbiamo il dovere di occuparci di queste cose. Ma, soprattutto chi, se non l’Anpi?
La tua risposta alle mie petizioni è stata che ha tante cose da fare e che ci sono anche molte altre stragi, riferendoti a quelle del terrorismo rosso e nero. Ma la tua, mi correggo, la nostra Associazione, è nota per il silenzio che ci mette da tanti anni. Quanto poi ad impacchettare in un unico involucro stragi nazifasciste e quelle del dopoguerra, è come proporre, a guisa di delizioso ed originale connubio, i cavoli a merenda. Giovanni Russo Spena, già presidente dei senatori di Rifondazione comunista, su Liberazione ha scritto: «È mia impressione che il silenzio delle forze antifasciste di oggi sia frutto di un accordo politico generale teso a dimenticare gli eccidi nazifascisti in nome di una presunta “conciliazione nazionale”. Bianca Bracci Torsi, staffetta partigiana, ci va giù ancor più dura: «Cercano di far dimenticare che eravamo comunisti». Ma che non si tratti, invece, penso io che sono sospettoso, del ritrovamento di qualche papiello da cui risulterebbe che Palmiro Togliatti, nei momenti di libertà, si univa al maggiore Reder per le stragi di Marzabotto e Fivizzano, e al capitano Galler per l’eccidio di Stazzema? È evidente che si tratta di “un tanto per dire”. Ma sia quel che sia, Presidente Smuraglia, hai il dovere di informarci. Nonché di agire. Altrimenti l’Anpi cosa ci sta a fare?
p.s. – nella tua risposta alla mia intervista dici che io ce l’ho con l’Anpi. Assolutamente no. Adoro il vecchio profumo di libertà che l’Associazione emana. Ce l’ho con i dirigenti che la stanno rendendo un monumento senza presente e senza futuro. E quanto alle cose che stai facendo facci sapere, siamo tutti curiosissimi.
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