Clitennestra L’assassina che aiuta a sconfiggere le ingiustizie

Per i greci simbolo dell’infamia, «riabilitata» da filosofi e femministe C litennestra? Un mostro. A cominciare da Omero, i greci non avevano dubbi. Nell’Odissea, quando Ulisse scende nel mondo dei morti e si imbatte nel fantasma di Agamennone, questi così definisce la moglie, che come ben noto lo aveva ucciso, con la complicità  dell’amante Egisto: «Quel perfido mostro» (XI, 432).

Per i greci simbolo dell’infamia, «riabilitata» da filosofi e femministe C litennestra? Un mostro. A cominciare da Omero, i greci non avevano dubbi. Nell’Odissea, quando Ulisse scende nel mondo dei morti e si imbatte nel fantasma di Agamennone, questi così definisce la moglie, che come ben noto lo aveva ucciso, con la complicità  dell’amante Egisto: «Quel perfido mostro» (XI, 432). Contrapposta a Penelope, modello insuperato di ogni virtù, Clitennestra è per i greci il prototipo dell’infamia femminile. E come tale la sua fama è giunta sino a noi, grazie soprattutto al racconto dei suoi crimini (e quel che ne seguì) messo in scena nell’Orestea, la trilogia (Agamennone, Coefore ed Eumenidi) in cui Eschilo, nel 458 a.C., celebra la fine del mondo della vendetta e la nascita del diritto.
La storia è nota: nell’Agamennone Clitennestra uccide il marito con incredibile crudeltà. Questi, appena tornato da Troia, è immerso in un bagno ristoratore. La moglie si avvicina e «così ho fatto — racconta — una rete senza uscita, come per i pesci, gli avvolgo intorno. Lo colpisco due volte, in due gemiti gli si sciolgono le membra; e su lui caduto aggiungo un terzo colpo… un violento getto di sangue mi colpisce con nero spruzzo di sanguigna rugiada. E io ne godo…» (Agam., 1380-1392). Per completare l’opera uccide Cassandra, la principessa troiana colpevole solo di essere stata assegnata come schiava di guerra ad Agamennone, che (cosa allora normalissima) l’aveva portata con sé come concubina. Ma questo non è che il primo atto della tragedia.
Nelle Coefore torna in patria Oreste, il figlio che Clitennestra aveva allontanato dal palazzo e dal regno per evitare che potesse vendicare il padre. Dopo aver incontrato la sorella Elettra, Oreste concerta con lei il piano grazie al quale riuscirà a uccidere la madre. Ma non appena lo realizza viene circondato dalle Erinni: esseri mostruosi, bestiali, che si accovacciano al suolo come cani, ringhiano, annusano il sangue. Sono le dee della vendetta.
Perché l’uccisione di Clitennestra non resti invendicata (Eumenidi) inseguono il matricida sino ad Atene dove — ha detto Apollo — la dea Atena risolverà il suo caso. E così sarà: Atena infatti, istituisce a questo scopo il primo tribunale della storia ateniese, l’Areopago. E questo assolve Oreste con la seguente, per noi incredibile motivazione: «Non è la madre la generatrice di quello che è chiamato suo figlio: la madre è la nutrice del germe in lei in seminato. Il generatore è colui che la feconda» (Eu., 658-660). Un principio suggerito da Apollo, che ottiene la maggioranza con il voto determinante di Atena e che — rafforzato dalle successive teorie di Aristotele sulla differenza tra i sessi — sarà destinato a sancire attraverso i millenni l’inferiorità e la subordinazione delle donne.
Ma torniamo all’Orestea: secondo l’interpretazione tradizionale la sentenza che assolve Oreste segnerebbe la sconfitta della parte femminile, irrazionale del mondo (rappresentata dal fantasma di Clitennestra e le sue Erinni), e il trionfo di un diritto pacato e razionale, territorio degli uomini: quali sono ovviamente Apollo, i giudici e in un certo senso anche Atena, la dea nata dalla testa del padre, che rifiuta le nozze. Una sconfitta duratura: per secoli, il diritto resterà prerogativa maschile (è necessario ricordare che in Italia le donne sono state ammesse alla magistratura solo nel 1961?).
Ma negli ultimi decenni questa interpretazione è stata contestata. Clitennestra, ci si è chiesti, è veramente un mostro? Certo, è un’assassina. Ma il suo matrimonio altro non è stato che il susseguirsi di intollerabili violenze. Una di esse è nota: prima di partire per Troia, Agamennone aveva sacrificato agli dei, per propiziarseli, la figlia Ifigenia (sua e di Clitennestra). Ma questo non è che l’ultimo di una serie di crimini. Anche se Eschilo non vi fa cenno e raramente se ne parla, Clitennestra, prima di Agamennone, aveva avuto un altro marito, da cui aveva avuto un figlio: ambedue, marito e figlio neonato, uccisi da Agamennone, che vedendola aveva deciso di farla sua (Euripide, Ifigenia in Aulide, vv.1148-1152). Ben si capisce dunque perché negli anni del femminismo le cause della violenza assassina di Clitennestra non sono state individuate nella sua «mostruosità», ma nelle ingiustizie, le violenze e l’infelicità delle donne nelle società patriarcali.
Tra riletture dell’epoca limitiamoci a quella di Dacia Maraini (I sogni di Clitennestra, 1981). Povera e impotente, nell’Italia del primo Dopoguerra, questa Clitennestra non ha la forza di uccidere il marito, e impazzisce. In un’intervista del 1984, Maraini spiega: dopo millenni di soprusi, le donne o hanno imparato a condividere la logica degli uomini, come Atena, o continuano a essere subalterne e vittime della violenza maschile. La follia è la loro fuga dalla realtà. E a distanza di quasi un quarto di secolo, in tempo di cosiddetto postfemminismo, ecco la Clitennestra di Valeria Parrella (Il verdetto, 2007): figlia della buona borghesia napoletana, vive con un camorrista, di cui è follemente innamorata, accetta le sue lontananze e i suoi tradimenti, sopporta in silenzio la morte della figlia Ifigenia, uccisa in un regolamento di conti. Diventa l’amante di Egisto per disperazione: continua ad amare Agamennone. Quando questi finalmente torna, è pronta a perdonare tutto. Ma accanto a lui sta Cassandra, con un bambino. Vittima e complice del marito al punto da essersi annientata in lui, Clitennestra uccide.
Anche se diverse tra loro, queste e altre riletture del personaggio inducono tutte, comunque, a riflettere sul rapporto uomo/donna nel mondo moderno, a chiedersi se esso conserva ancora traccia della antica violenza e a interrogarsi sulla possibilità di una politica di riconversione e riconciliazione fra i sessi. Ma non è solo questa, lo abbiamo accennato, l’attualità del personaggio. Oggi, Clitennestra è entrata a far parte di un dibattito sulla natura del diritto. È vero, ci si è chiesti, che il diritto, nell’Orestea, è «gendered»? Le Erinni sconfitte non vengono espulse dalla polis, scrive Paul Gewirtz sulla Harvard Law Review del 1988. Dopo aver rinunziato al loro lato sanguinario, trasformate in Eumenidi, trovano posto nel sistema giudiziario ateniese. All’interno del diritto, dunque, trova spazio anche la forza delle passioni.
Il diritto non può essere solo ragione, per essere giusto non può ignorare le emozioni. Come si legge in un numero speciale di Theoretical Criminology (2002) «per avere un dibattito più razionale sul crimine e la giustizia, dobbiamo paradossalmente prestare più attenzione alla loro dimensione emozionale». Sono un tema importante, le emozioni, nell’attuale dibattito giuridico e filosofico. Basterà, tra le altre, ricordare le indagini di Martha Nussbaum. Docente di «Etica e diritto» nell’università di Chicago, Nussbaum è impegnata da anni in un’importante riflessione sulla possibilità di (e i modi per) realizzare una società più giusta, capace di garantire a tutti uguale libertà e dignità. E poiché a suo giudizio questo presuppone un’approfondita analisi della natura umana, negli ultimi anni il suo interesse si è appuntato sulle emozioni. Per comprendere se stesso e gli altri, osserva infatti, la ragione non basta. È necessaria «l’intelligenza delle emozioni», che nella costruzione della nostra vita spirituale e sociale svolgono un ruolo tutt’altro che secondario, che peraltro, a seconda del tipo di emozione e del modo in cui questa è usata, può essere sia positivo sia negativo. Alcune emozioni — si pensi al disgusto e alla vergogna — se usate come elemento di discriminazione di alcune minoranze (come accadeva ad esempio sino ad alcuni decenni or sono nei confronti degli omosessuali) possono giocare un ruolo negativo. Altre emozioni, quali la compassione, la gratitudine e l’amore, invece, svolgono un ruolo positivo nella costruzione di un’etica sociale più giusta: tenerne conto aprirebbe la via a una concezione normativa dei rapporti nella quale gli esseri umani non sarebbero mezzi, ma fini e agenti.
È straordinaria, la possibilità della storia di Clitennestra di adattarsi a ogni tempo. Arrivata sino a noi, consente non solo di riflettere sulle discriminazioni di genere, ahimè ancora esistenti, ma anche di pensare una nuova giustizia, all’interno di nuovi rapporti politici e sociali. È persino capace di farci sognare una cultura i cui valori cancellino per sempre la necessità della violenza, non solo nei rapporti tra sessi. Da mostro, Clitennestra è diventata simbolo di speranza in un mondo migliore.

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