La negazione pianificata dell’altro

SCAFFALI «Deumanizzare», uno studio interdisciplinare di Chiara Volpato
Tecniche di privazione dell’umanità  per poi segregare o sterminare in nome della coesione sociale e nazionale

SCAFFALI «Deumanizzare», uno studio interdisciplinare di Chiara Volpato
Tecniche di privazione dell’umanità  per poi segregare o sterminare in nome della coesione sociale e nazionale

 «Deumanizzazione» è il termine che in psicologia sociale designa gli processi e le pratiche di privazione dei connotati di umanità, gli atteggiamenti funzionali al compimento di violenze. È anche il titolo dell’agile volume di Chiara Volpato (Deumanizzazione, Laterza, pp. 180, euro 12) che presenta una rassegna dello stato delle ricerche sull’argomento. L’origine di questo interesse è chiaro: il Novecento, secolo di Auschwitz, ci ha posto di fronte all’esigenza di interrogarci su come tutto ciò sia stato possibile. A questo fine la ricostruzione storica della «soluzione finale», del razzismo nazista e della trama complessa e profonda delle sue radici costituisce certamente il terreno privilegiato di studio e di riflessione.

Parallelamente però anche la psicologia sociale ha posto lo stesso interrogativo andando alla ricerca delle condizioni che facilitano l’attivazione in persone comuni di comportamenti violenti. Cosa può indurre gli attori sociali a partecipare in modo attivo o passivo al compimento di atrocità collettive? Pioniere fu Stanley Milgram che nel 1961, lo stesso anno del processo Eichmann, organizzò un protocollo sperimentale in cui persone comuni, nella cornice autorevole di un fittizio esperimento sulla memoria, si trovavano ad infliggere scosse elettriche ad altre persone eludendo ogni dilemma morale.
Chiara Volpato nel suo lavoro non separa nettamente psicologia sociale e storiografia, tutt’altro: si fa forte di una stretta connessione tra i due campi del sapere per farsi guidare nella ricerca.
Si ha la percezione, positiva, che l’approccio interdisciplinare a questi argomenti sia la strada giusta per non tradire la complessità di temi che spesso pongono domande difficili da risolvere rimanendo all’interno dei recinti disciplinari.
In apertura del volume viene presentata un’analisi storica delle pratiche di deumanizzazione condotta sulla scorta dei più interessanti lavori degli ultimi anni: Enzo Traverso, Pier Vincenzo Mengaldo e altri. Essi ci mostrano che questa sottrazione di umanità è presente ogni volta che le pratiche di violenza e dominio assumono dimensioni di massa: antisemitismo nazista ma anche imperialismo, criminalizzazione dei rivoluzionari e dei nemici, marginalizzazione delle classi povere e dominio sessista. Le forme che – di volta in volta, in relazione al contesto storico – assume questa deumanizzazione sono varie ma riconducibili ad alcune categorie fondamentali: animalizzazione, demonizzazione, biologizzazione, oggettivazione e meccanizzazione. Definire scimmia un africano o mostrarlo all’interno di una gabbia etnica negli zoo umani ottocenteschi è una premessa (e allo stesso tempo una conseguenza) indispensabile agli stermini e all’oppressione imperialista. Definire gli ebrei e gli slavi Untermenschen, sottouomini, è un «correlato necessario» per indurre uomini comuni tedeschi ad eliminare gli uni nelle camere a gas ed a schiavizzare gli altri.
Il corpo centrale del volume ci presenta le ricerche sulle pratiche di «deumanizzazione esplicita» e «sottile» attive nella nostra società, moltiplicate in potenza dai mass media. Purtroppo non ci sono sorprese: anche sperimentalmente i Sinti e i Rom continuano ad essere «assimilati ai selvaggi» ed a vedersi attribuiti più tratti animali che umani; l’associazione tra neri e scimmie antropomorfe influenza ancora le cognizioni quotidiane senza che gli attori sociali ne abbiano consapevolezza (tanto da giustificare maggiormente le violenze della polizia nei confronti dei neri); agli africani vengono riferiti «più tratti naturali che culturali», a conferma del famoso discorso di Sarkozy in Senegal nel 2007 in cui dichiarò che «l’uomo africano non è mai veramente entrato nella storia».
Un altro settore prolifico di studi è quello sull’oggettivazione, cioè la riduzione di un individuo a oggetto, strumento, merce. Qui la ricerca si è concentrata sull’«oggettivazione sessuale». Le analisi dei mass media indicano che, riprodotti in una grande varietà di forme, questi processi producono effetti tristemente monotoni: «riducono le donne a oggetti di consumo, uguali, interscambiabili, privi di individualità». L’approccio sperimentale suggerisce anche che lo «sguardo oggettivante» porta i singoli ad interiorizzare la prospettiva dell’osservatore, cioè a guardare se stessi come oggetti da valutare sulla base dell’aspetto fisico.
In chiusura la riflessione si sposta sulle strategie di resistenza. Da una parte occorrerebbe intervenire sui grandi deumanizzatori di massa, i mass media, che però nel nostro paese rimangono saldamente in mano a Papi. Dall’altra ci rimane lo spazio dell’istruzione pubblica, l’unico contesto ancora libero e di massa per mettere in pratica, giorno per giorno, le conoscenze contenute in questo libretto: la paziente e quotidiana azione di umanizzazione dell’«altro» e una critica consapevole dei razzismi di ieri e di oggi.

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