L’ANPI, UNA GITA A CERVIA E LE STRAGI NAZIFASCISTE

ARMADIO DELLA VERGOGNA
Splendide giornate novembrine del 2008 sulla riviera ravennate. Siamo a Cervia in un albergo di gran turismo. Ma noi bivacchiamo là … per lavoro? È troppo. Per dovere? Non prendiamoci in giro.

ARMADIO DELLA VERGOGNA
Splendide giornate novembrine del 2008 sulla riviera ravennate. Siamo a Cervia in un albergo di gran turismo. Ma noi bivacchiamo là … per lavoro? È troppo. Per dovere? Non prendiamoci in giro. Siamo qui perché ci hanno convocati in quanto delegati di tutte le Anpi d’Italia, per questo convegno nazionale di cui francamente non ho mai capito il motivo. Siamo trecento, non più giovani e chissà se forti, ma rappresentiamo ai più alti livelli la gloriosa associazione i cui aderenti hanno contribuito a pulir la faccia dell’Italia che il fascismo aveva deturpato. Senza dimenticare i militari che ubbidendo agli ordini si opposero ai nazisti e furono trucidati dopo che avevano alzato bandiera bianca. E, soprattutto, insieme al popolo che per solidarietà e fratellanza umana aveva dato conforto a coloro che si battevano per la libertà, avendone come risposta dall’occupante straniero e dai suoi camerati di Salò, la morte. Morte orribile, condita con tutti gli ingredienti della crudeltà. Poi, le loro storie terrene finirono, a disonore della politica, in quell’armadio di cui ho scritto. Ma quando fu scovato mezzo secolo più tardi ecco che all’armadio della vergogna si sostituì l’abiezione di un ulteriore silenzio all’insegna «sono cose del passato», «non riapriamo vecchie ferite», «ma sono passati oltre cinquant’anni, ci sono faccende più urgenti da affrontare». Nei giorni scorsi Giovanni Russo Spena ha scritto su Liberazione: «È misera una nazione che ha dimenticato le proprie radici storiche… Prendiamo posizione come partito, come democratici, come comunisti…». Si riferiva, in particolare il politico di Rifondazione comunista, ad uno degli aspetti, il più attuale, il più clamoroso, forse il più assurdo e contraddittorio: in pratica l’azzeramento dell’ergastolo agli assassini nazisti condannati con pena definitiva dai nostri tribunali, senza che il misero governo di questo paese abbia mosso un dito, nonostante gli appelli pubblici dei magistrati affinché le sentenze vengano eseguite.
Torniamo a Cervia. Il presidente è ancora Tino Casali, partigiano, decorato. Una volta che inveii contro l’Associazione, sempre per gli stessi motivi di inanità istituzionale, mi dette pubblicamente ragione. Ma è in cattive condizioni di salute, lo sostituisce in pratica Raimondo Ricci, anche lui partigiano, detenuto a Mauthausen, parlamentare comunista. Ebbe a che dire con me perché rivendicava la priorità di aver svelato quello che io successivamente definirò l’armadio della vergogna dove furono rinchiusi i fascicoli delle stragi. Gli esibii per smentirlo definitivamente un articolo che avevo scritto per L’Espresso. Lo dico per spiegare il motivo per cui mi misi in seconda fila, anzi in terza, per evitare che motivi personali potessero incidere. Nella notte, insieme al segretario dell’Anpi di Roma, Ernesto Nassi, avevo preparato il testo da mettere in votazione. Per primo lo firmò lui, come secondo il presidente Massimo Rendina, infine io, per terzo, appunto. Seguivano tutte le firme degli altri delegati di Roma e del Lazio. Ma fui io ad aprire le ostilità sulla tribuna degli oratori. Risfoderai il concetto che i vertici associativi erano vere e proprie cariatidi perché non affrontavano quel che era il loro dovere. Aggiunsi, ad ulteriore schiaffo, che erano come i Merovingi, gli imperatori francesi passati alla storia come faineantes, gli inutili. Ci fu una selva di applausi, come se avessi smontato un mito non più sopportabile. Più tardi mi vennero intorno, tutti mi vollero stringere la mano, più d’uno mi disse, non in senso ironico: «Ti posso toccare?» Ma la presidenza aveva già preparato la contromossa: acquisiamo l’ordine del giorno, ma non possiamo metterlo in votazione perché questo non è un congresso, bensì un convegno. Tornò Nassi alla tribuna e riuscì a ribaltare la situazione. Fu un tripudio per acclamazione: 300 presenti, 300 sì. Ne poteva essere diversamente: chi se non i partigiani e i loro seguaci hanno il dovere di occuparsi di coloro che hanno perso la vita essendosi schierati al loro fianco? Ma passò più di un anno prima che Ricci, sollecitato dalle insistenze di Rendina e dai miei articoli, proprio sul manifesto, desse mandato a Luciano Guerzoni, ex senatore comunista e primo presentatore a Palazzo Madama della proposta di legge sulla Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi nazifasciste. Anche se Roma era stata fatta fuori in modo evidente, a me l’indicazione andò bene perché Guerzoni a Cervia, era stato uno dei tanti che era venuto da me per dirmi che aveva sottoscritto la nostra mozione. Lo cercai nell’estate dello scorso anno per chiedergli notizie, dato il silenzio che imperversava. Mi rispose che non se ne faceva più niente. «Perché», chiesi. «Il presidente Ricci non vuole», «e tu?», «se il presidente dice una cosa bisogna ubbidirgli». Vi risparmio i miei improperi, ma pensai e forse gli dissi, non ricordo bene, che chi si era battuto contro i fascisti si comportava come loro. Possono apparire concetti ingiusti, parole troppo offensive, ma io penso che sia profondamente ingiusto ed enormemente offensivo l’atteggiamento che ha provocato questa reazione. Ora c’è un nuovo presidente, Carlo Smuraglia, avvocato, ex Csm, ex parlamentare comunista. Vedremo.

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