Addio a Giuseppe D’Avanzo la firma delle grandi inchieste che ha svelato i misteri d’Italia

 Stroncato da un infarto mentre andava in bicicletta    

 Stroncato da un infarto mentre andava in bicicletta    

ROMA – È successo, e chi lo conosceva sa che non è esagerazione, come con la quercia abbattuta dal fulmine. Giuseppe D´Avanzo era una quercia, una quercia di uomo e di giornalista, con le radici salde, che affondavano nei tanti libri letti e nelle tante inchieste affrontate a viso aperto, e con i rami sempre in cerca di un nuovo spazio di cielo. Ma da ieri mattina non c´è più, D´Avanzo è morto correndo in bicicletta, tra Roma e Viterbo, è morto all´aria aperta, e l´aria aperta, in tutti i sensi, gli piaceva assai.
È sempre stato un super-lavoratore, gli sforzi non lo spaventavano, era forte: nel fisico da ex rugbysta e nello spirito da “buon pirata”, da uomo che conosceva la vita. Inizi difficili e gavetta dura, senza raccomandazioni, poi carriera a Repubblica, inviato, editorialista, inchieste sulla mafia, sull´Italia oscura, scoop su scoop che lo rendevano temuto dai concorrenti. Un passaggio al Corriere della Sera, poi una dozzina d´anni fa il ritorno a Repubblica, con il ruolo di vicedirettore, che abbandonò, per tornare non solo a scrivere, ma a “dettare legge”: ed evitava con cura fotografi e tv, per restare “libero” di muoversi, mentre i suoi “pezzi” conquistavano la ribalta internazionale.
Capace di arrabbiature solenni, ma anche di uno sguardo ironico, in grado di spiazzare, o di una frase gentile, e sorprendente. Ha sempre lottato per le notizie: per la verità delle notizie, viene voglia di aggiungere. Da qualche tempo lottava anche con i chilometri da masticare pedalando, e s´era riconquistato un fisico asciutto, scattante. Era fiero di un check-up che lo descriveva sano come un pesce e da anni aveva smesso di fumare i suoi sigari: «Qualche volta sogno di essere seduto al bancone di un bar, chiedere da bere e accendere un cubano…», scherzava, perché in realtà non gli mancava niente. Leggeva e leggeva, scriveva, meditava su che cosa sarebbe successo a settembre, perché «questi sono anni sempre più incredibili, ma molto interessanti, di spaccatura, e noi giornalisti siamo fortunati, anche se…».
Non c´è più spazio per gli «anche se». D´Avanzo ieri mattina si stava allentando per un tour ciclistico, da fare presto in Sicilia, con tanto di meccanico al seguito. E ieri mattina correva con il vecchio compare di scrittura e pedali, Attilio Bolzoni, e con altri due amici. Stavano per arrivare, alle 12.30, a Calcata, provincia di Viterbo, per fare sosta lunga e tornare a Roma, 120 chilometri in tutto. Non era stata una tappa da giro, ma poco più di una gita, con qualche pausa, con Attilio e Beppe che erano rimasti un po´ indietro, ma ormai mancava davvero poco. All´improvviso, il fulmine è caduto, un fulmine interno, nel cuore di quercia di Giuseppe, rendendo inutili i soccorsi, l´affannarsi per spostarlo dalla strada. «Mi sono avvicinato subito – dice Bolzoni – ho sentito che mi chiamava: “Attilio”. E poi…». L´unica, vana, misera consolazione per gli amici, non pochi, sta solo nel fatto che diceva di non voler morire di malattia: e se n´è andato così, in quell´aria aperta, sotto quel cielo lontano che da napoletano ha sempre apprezzato, e un po´ temuto. Se n´è andato senza la possibilità di dire addio alla moglie e a Giulia, senza la possibilità di “un´ultima parola”, e ne aveva da dire. E, viene da aggiungere, senza la possibilità di «un´ultima risposta».
I più giovani, quelli che credono di apprendere le notizie soprattutto da Internet, forse collegano D´Avanzo all´ultima stagione dello scandalo-Berlusconi. Alle sue “Dieci domande” sulla relazione tra il premier e la minorenne napoletana Noemi Letizia, che hanno fatto il giro del mondo, riprodotte da migliaia di media. E poi alle sue “Dieci bugie”, scaturite dalle indagini, anche in strada, sui rapporti tra Berlusconi, Ruby Rubacuori e le altre ragazze che frequentavano le feste di Arcore. Ma D´Avanzo era uno che, come si dice, “non guardava in faccia nessuno” e dagli anni Ottanta, tra scoop da prima pagina e inchieste, ha modificato – e sul serio – uno stile giornalistico. Era l´unico a potere e sapere mescolare la cronaca, costruita e impreziosita da notizie esclusive, con i suoi commenti, le analisi, le “visioni”.
Eppure, decennio dopo decennio di fatiche e di strade – il tempo del giornalista che ama la cronaca è sempre intenso – D´Avanzo era rimasto esigente con se stesso, con le notizie, con la qualità nella scrittura degli articoli. «Quando funzionano, devono fiorire», diceva Giuseppe D´Avanzo, 58 anni da compiere, una quercia di giornalista, e di persona.

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