«La polizia a Genova? Mai così in basso»

 La solitudine del movimento di democratizzazione delle forze dell’ordine, la condizione di illegalità  del sistema penitenziario italiano. 

 SINDACATI L’ispettore Luigi Notari, del direttivo nazio. «Non sono d’accordo con l’approccio di Giardullo, superato dallo stesso capo di Dipartimento»

 La solitudine del movimento di democratizzazione delle forze dell’ordine, la condizione di illegalità  del sistema penitenziario italiano. 

 SINDACATI L’ispettore Luigi Notari, del direttivo nazio. «Non sono d’accordo con l’approccio di Giardullo, superato dallo stesso capo di Dipartimento»

 «Sono in polizia dal ’76: alla Digos, a Bologna, e alla celere negli anni del terrorismo. Ne ho viste di sbavature, per carità, e la vicenda della Uno bianca fu decisamente peggiore, eppure un’operazione come quella della Diaz a Genova, io non me la ricordo. Andare a menare dentro una struttura, una casa dello studente, beh… no, non era mai successo». L’ispettore di polizia Luigi Notari, membro della segretaria generale del Siulp, non è affatto d’accordo con il suo omologo del Silp – Cgil, Claudio Giardullo, intervistato dal manifesto il 23 luglio scorso, sulla lettura data ai fatti del 2001 e sulle misure da attuare oggi per contrastare eventuali nuove violazioni di legge.

«Con Caudio dai tempi in cui entrambi eravamo segretari nazionali della componente Cgil del Siulp. Poi fu la politica a dividerci e quello fu l’errore».
Cosa contesta a Giardullo?
Giardullo ha un approccio superato addirittura dalla stessa amministrazione di polizia che in questi anni ha organizzato per gli agenti corsi di aggiornamento sulla gestione dell’ordine pubblico, proprio per colmare quel vuoto che si era scoperto a Genova. Fu una pagina brutta, una cosa grave. Non era mai successo prima.
Come mai secondo lei il Silp ha una visione così diversa?
C’è, secondo me, una visione non partecipata della politica. Questo tipo di problemi nella polizia – io li ho vissuti con i poliziotti della Uno bianca a Bologna che uccisero 23 persone, una vicenda davanti alla quale impallidisce perfino Genova – scaturiscono da un fenomeno di isolamento del movimento democratico interno. La causa secondo me è il modello di rappresentanza politica, il maggioritario, e il conseguente dirigismo che ha portato in questi corpi – che sono per natura soggetti alle gerarchie – all’isolamento di chi spingeva per un modello partecipativo. Io partirei dunque proprio da questa separatezza, dentro la quale qualsiasi opinione diventa isolata e non incisiva, e dalla nostra incapacità di ammetterla. Inoltre i fatti del 2001 sono avvenuti in un contesto di deriva securitaria cresciuta in questi anni. Parlare di ronde e militari a gestire l’ordine pubblico toglie alla polizia professionalità e considerazione sociale.
E così è naufragato il movimento di democratizzazione?
Più che altro è isolato. Per colpa di una certa politica di centrosinistra, secondo me, che poi è la mia parte politica, che ha accreditato una parte del sindacato e discapito dell’altra e lo ha diviso. Quando nel ’99 nacque il Silp e al governo c’era il centrosinistra, si pensava che non ci fosse più bisogno di un movimento interno al corpo di polizia. Cofferati si era intestardito col sindacato unitario e per questo nacque il Silp, molto accreditato come progressista ma secondo me molto lontano dal movimento. È sintomatico che tutti e tre i dirigenti dei sindacati siano diventati politici del Pd.
Il sindacato perde la sua autonomia, in sostanza. Ma tornando allo stato attuale di democrazia interna della polizia, lei cose ne pensa del fatto che non ci siano mai state delle scuse formali per ciò che è successo a Genova.
Guardi, le scuse sono arrivate dalla polizia di Bologna per i reati commessi dalla Uno bianca, e non è cambiato nulla. Secondo me le scuse che i poliziotti possono fare è lavorare perché queste cose non accadano più. Faccio un esempio attuale: in questo periodo ci stiamo confrontando col problema di chi vuole essere trasferito da un reparto all’altro. Ebbene, abbiano notato che nei «reparti mobili», addetti all’ordine pubblico, mandano sempre ragazzi molto giovani. E le donne non sono previste. Se hai più di trent’anni e chiedi di essere trasferito nella tua città d’origine, lo puoi fare solo se trovi posto fuori dal «reparto mobile». La formazione per questi giovani c’è, ovviamente, ma la mentalità di un quarantenne è diversa da quella di un venticinquenne. Si riempiono queste strutture di giovani maschi, oltretutto provenienti ormai tutti dall’esercito, ragazzi che dopo essere stati magari in Afghanistan vanno a fare ordine pubblico nelle strade italiane. Insomma, c’è una visione muscolare di questi corpi. I quali si formano di conseguenza con una mentalità tutta muscolare. E c’è una disattenzione della politica e della società che è letale.
Dunque, lei non crede che la «notte cilena» di Genova fu impartita da scelte politiche?
La politica di un governo di destra ha naturalmente influito. Elementi di inquietudine, per la presenza di Fini dentro una cabina di comando o altro, ci sono. Ma non possiamo non vedere che per anni il Dipartimento ha lavorato per dividere il sindacato di polizia. Perché io e Giardullo che lavoravamo nella stessa stanza nel ’99, adesso ci parliamo solo sul manifesto? All’interno della polizia c’era un movimento che puntava alla professionalità, alla qualità della vita dei poliziotti, alla presenza di genere, al rapporto con la magistratura. Come mai la polizia ha messo in campo furbescamente la divisione del movimento sindacale?
Cosa pensa del fatto che nessuno degli imputati o dei condannati in appello sia stato rimosso?
Non mi piace, come non mi piace la mancata rimozione di Ganzer, capo del reparto operativo dei carabinieri. I corpi ormai sono autoreferenziali, rispondono solo a logiche interne. Perché la politica è debole e non osa mettere bocca. Se Violante sta zitto, se Berlusconi sta zitto, come possiamo io o Giardullo rimuovere qualcuno? C’è un problema culturale. Che si evidenzia in una sociologia non si sofferma a sufficienza nello studio dei corpi di polizia e una totale assenza del controllo politico sull’operato. Gli apparati vengono visti come dei totem intoccabili e la politica e l’opinione pubblica si fidano ciecamente del totem, questo è il problema. Se il contribuente non chiede che le risorse vengano spese per una preparazione adeguata, se non si chiede una deontologia professionale, se non c’è un investimento formativo di massa, è chiaro che questi sono i risultati. Come la politica riuscì a plasmare la polizia con la riforma dell’81, ci vorrebbe oggi un nuovo impulso politico che pretenda un nuovo modello di polizia.
È d’accordo con l’introduzione del reato di tortura?
Sono favorevolissimo, ci mancherebbe. Io ho conosciuto anche una lotta al terrorismo fatta con sistemi normali. Fermo restando che non se ne faccia un uso strumentale. Certo, può anche scappare un atto di forza, ma io combatto la mentalità muscolare che permette certi abusi.
E sul codice alfanumerico che identifichi gli agenti?
Io credo che serva introdurre un metodo per accertare le responsabilità. Ovviamente che sia riservato, in modo da evitare che chiunque possa risalire dal codice al nome e cognome dell’agente. È uno strumento che ho sempre letto a tutela dei poliziotti. Anche perché chi fa un’atto anche forte ma in buona fede, dettato dalle necessità, non deve aver paura di niente.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password