Il villaggio che aspetta giustizia

GUATEMALA Alla sbarra quattro militari responsabili di aver ucciso 250 persone nell’82

GUATEMALA Alla sbarra quattro militari responsabili di aver ucciso 250 persone nell’82

 Nuova udienza, ieri, in Guatemala, contro quattro ex-militari, accusati del massacro di 250 contadini, fra cui 113 bambini, perpetrato tra il 6 e l’8 dicembre del 1982 nel villaggio di Dos Erre, nel Petén. Erano gli anni del generale José Efrain Rios Montt, uno dei periodi più cupi della dittatura guatemalteca che, tra il 1960 e il 1996, ha provocato oltre 200.000 vittime.

Un processo storico, che si è aperto dopo quasi vent’anni di battaglia giuridica da parte delle associazioni per i diritti umani. Quattro anni fa, sei paramilitari vennero condannati per un’altra mattanza di indigeni nella zona del Rio Negro, nel nord del paese, ma è la prima volta che degli ex militari vengono tradotti in giudizio. Dal 25 luglio, un ufficiale e tre sottufficiali dell’esercito al tempo della dittatura, sono processati con l’accusa di aver fatto parte dell’unità speciale Kaibil, formata da 40 effettivi, specializzata in torture e stupri a donne e bambini. Secondo i testimoni, a Dos Erre hanno bastonato a morte le vittime, le hanno poi gettate nelle fosse comuni e bruciate. I cadaveri vennero scoperti nel ’94.
Nel corso della lunga battaglia legale, gli avvocati delle vittime hanno dovuto far fronte a più di 40 ricorsi opposti dai difensori dei militari. Nel 2000, hanno portato il caso davanti alla Commissione interamericana dei diritti umani che ordinò allora di riaprire il caso contro 18 militari, quattro dei quali si trovano ancora negli Stati uniti. Nella prima metà di luglio, la giustizia americana aveva atutorizzato l’estradizione in Guatemala di un altro presunto responsabile del massacro, mentre altri undici ex-militari, sospettati di avervi partecipato a Dos Erre, sono ancora introvabili.
Fondamentali le testimonianze dei sopravvissuti, che all’epoca erano bambini. Uno di questi venne adottato dagli assassini e ruppe con la famiglia «adottiva» vent’anni dopo. Al processo hanno deposto anche dei militari pentiti, che beneficiano di un programma di protezione in Messico e hanno testimoniato in videoconferenza, confermando le accuse ai loro complici.
«Io non ho diretto nessun massacro, ero il capo di stato di un paese in cui c’è stata una guerra di guerriglia, e morti da entrambe le parti», ha dichiarato l’ottantacinquenne generale in pensione José Efrain Rios Montt, deputato al Congresso per il Frente republicano guatemalteco (Frg). Ieri, il giudice della Audicencia nacionale spagnola, Santiago Pedraz, ha accolto la denuncia per crimini contro le donne commessi dagli agenti dello stato guatemalteco fra il ’79 e l’86, specialmente contro le indigene maya. Un ampliamento della causa presentata in Spagna nel ’99 da Rigoberta Menchú, premio Nobel per la pace nel ’92 e attuale candidata per la compagine di sinistra, il Frente Amplio, alle prossime elezioni dell’11 settembre.
Per la vicepresidenza, il Frente candida Anibal Garcia, deputato indipendente del Movimento per una nuova repubblica (Mnr), in prima fila nelle lotte ambientaliste del Petén, la stessa zona in cui avvenne il massacro. Ma il favorito alla presidenza è il generale Perez Molina, del Partito Patriotico e governatore del Quiché, teatro degli orrori commessi dalle dittature di Lucas Garcia e Rios Montt.

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